«A volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola». Così scriveva Italo Calvino nel capitolo delle Lezioni americane dedicato all’«Esattezza». Chissà che cosa direbbe oggi lo scrittore del Barone rampante se accendesse il televisore anche solo per una mezz’ora. E chissà come reagirebbe se andasse, per esempio, in una scuola aguzzando l’udito. In un lucido (e allarmante) saggio pubblicato di recente dal Mulino e intitolato Elogio della parola, il neurobiologo Lamberto Maffei, uno dei massimi scienziati italiani, analizza come l’era digitale induca una fuga dalla parola e dalla conversazione, che sono i tratti distintivi degli esseri umani rispetto agli altri animali. Scrive Maffei: «Mi raccontava un’insegnante delle scuole elementari che il suo problema era di far parlare i bambini, perché essi erano per lo più taciturni, come se avessero perso l’esercizio della parola». Causa di questa «afasia del bambino» è il prolungato uso dello smartphone da parte di genitori e figli. Anche per questo, l’ipotesi di far utilizzare il cellulare a scopo didattico nella scuola non piace allo scienziato: «Io penso che il risultato sarebbe quello di far concentrare perennemente la mente del ragazzo sullo schermo, diminuendo l’attenzione verso scienza e cultura» (6+).
Il libro di Maffei è diviso in otto capitoli che cominciano, tutti, con frasi di grandi menti del passato sul valore del linguaggio e sull’importanza della formazione e della cultura. Ascoltiamole. Se, come diceva Voltaire, «il segreto della noia è dir tutto», niente di meglio, per far addormentare il cervello, che esporlo a una marea incessante di informazioni simultanee. Del resto, osservava il filosofo Michel de Montaigne quasi cinquecento anni fa, il giovane non è un vaso da riempire di nozioni ma un fuoco da accendere di entusiasmo. Diceva Ennio Flaiano: «Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa». Elogio della parola, d’accordo, ma quale parola? Il compito della scuola è quello di preparare cittadini non solo informati ma soprattutto critici: «consapevoli del proprio diritto a prendere la parola per esprimere il proprio pensiero in un confronto civile». Dunque, una scuola degna di questo nome dovrebbe interrogarsi sulla sua capacità di stimolare l’uso della parola, la discussione, l’espressione del pensiero e delle opinioni. «Già Aristotele, e prima di lui Socrate, vedevano nella dialettica e nel dialogo l’origine della conoscenza». Se Maffei ha ragione, quale scuola può onestamente dichiarare di avere centrato l’obiettivo? «La scuola della parola è la scuola dell’emisfero cerebrale del linguaggio, quello della razionalità, è la scuola della riflessione, quella del pensiero lento, direi, quella che insegna che occorre riflettere prima di decidere, e pensare prima di credere». Voto d’aria? 6. No, direi 6+, anzi 6+++. Perché tutto ciò somiglia tanto a quella che chiamiamo una sana democrazia: riflessione, confronto, pensiero lento… Il tempo della globalizzazione, del mercato e del consumismo favorisce questo esercizio essenziale per la democrazia? Il medico-scienziato Maffei, che ha studiato i sistemi biologici, ricorda che «il buon funzionamento di un organismo è assicurato dalla capacità di mantenere relazioni “ordinate” tra le diverse componenti e quindi un’organizzazione interna». Per evitare patologie, ogni organismo realizza strategie di bilanciamento tra eccitazione e inibizione, autoproduce difese immunitarie, eventualmente ricorre a correttivi esterni come gli antibiotici per ripristinare la buona salute. Se ciò non accade il processo patologico diventa irreversibile.
Anche una società umana è un sistema che deve mantenere un sufficiente livello di organizzazione e di equilibrio tra le parti: se saltano i meccanismi di autolimitazione e di controllo, salta il sistema. «Ad esempio, quando la forbice tra ricchi e poveri si allarga fino a generare proteste che potrebbero sfociare in vere rivoluzioni, i buoni governanti promuovono oculate politiche redistributive». Nel famoso affresco di Ambrogio Lorenzetti, dipinto tra il 1338 e il 1339 a Palazzo pubblico di Siena, vengono raffigurati gli elementi indispensabili al sovrano o al signore per realizzare Il buon governo (titolo dell’opera): Giustizia, Temperanza, Magnanimità, Prudenza, Fortezza, Pace. Oggi? Quante di queste virtù vengono perseguite? La crescita selvaggia del mercato e del consumo, con le conseguenze catastrofiche sulla salute, sull’ambiente e sulle relazioni sociali e internazionali non conoscono correttivi che riportino il sistema entro limiti sostenibili. Ecco perché Maffei parla di «bulimia dei consumi» e di «anoressia dei valori». Un’«epidemia pestilenziale», la chiamerebbe Calvino: quella che arriva ad ammorbare anche la parola.