La rivoluzione di Emmanuel Macron è quasi completa, dopo la vittoria alle presidenziali anche alle legislative il neoinquilino dell’Eliseo ha dimostrato che il suo progetto politico sta plasmando la Francia, e il suo futuro. La République en marche, il partito nato dal movimento En Marche! con cui Macron ha lanciato la sua avventura politica, è diventato il primo partito del Paese, attirando i voti della destra e della sinistra, secondo il modello già di successo alle elezioni di aprile. Monsieur Europe, come viene chiamato Macron, è riuscito in un’impresa che, soltanto qualche mese fa, pareva soltanto un’ambizione quasi folle destinata a essere punita. La conferma della République en marche mostra che la fiducia nella visione macroniana è grande: non c’è soltanto lui, enfant prodige della politica che s’è inventato dal nulla un partito e, con uno spirito da start up, l’ha portato all’Eliseo, ma c’è anche un team parlamentare pieno di consensi che ha deciso di incamminarsi con lui verso una stagione politica che, sulla carta, appare molto promettente.
I francesi forse non lo sapevano nemmeno di essere in grado di fidarsi di un progetto del genere. Fino a qualche settimana fa, molti sostenevano – dati alla mano – che il centro liberale non esistesse in Francia. L’elettorato è considerato tra i più conservatori del continente europeo, e per conservatore si intende refrattario al cambiamento, di qualsiasi natura, non necessariamente di destra o di sinistra. Quando si è iniziato a registrare qualche sussulto liberale, si è temuto il ripetersi del copione del 2016: gli esperti s’aspettano un risultato, danno per scontato un risultato, che poi non arriva.
La Brexit e Donald Trump sono stati il frutto di quell’illusione. Che di colpo si fosse invertita una tendenza distruttiva e inarrestabile pareva troppo anche per i più ottimisti. Che Macron, con il suo curriculum così elitario, potesse interpretare questo cambio di passo poi pareva altamente implausibile. Invece era tutto vero e anche l’ultima resistenza – si diceva: il presidente avrà contro l’Assemblea nazionale, non potrà governare – è caduta: il sogno è realizzato.
Per qualche tempo, Macron rischia anche di non avere rivali. La sua operazione spazza-tutto non soltanto ha rivelato che il centro in Francia c’è eccome (semmai è scomparso in Inghilterra, ma questa è un’altra storia), ma che gli altri partiti non sanno come sopravvivere a tanta potenza.
A destra, il Front national che pure era arrivato al ballottaggio alle presidenziali con un exploit storico, è andato male, al di sotto delle aspettative, ed è destinato a una rifondazione che, ironia della sorte, verterà sulla tanto odiata Europa: c’è chi vuole abbandonare la retorica dell’«exit» e chi invece spiega che senza quella non ha nemmeno senso esistere. I Républicains espulsi dal ballottaggio presidenziale dopo la campagna straziante di François Fillon vanno a caccia di una nuova leadership, che sia in grado anche di riprendersi quell’ispirazione liberale scippata da Macron: al momento però la tentazione per i neogollisti è di accodarsi al progetto presidenziale.
A sinistra, il vuoto è più grande. Il Partito socialista è stato annientato alle legislative, molti «elefanti» del partito non sono stati confermati in Parlamento: si assisterà a un ricambio enorme, e quel che ne verrà è ancora incerto. La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon continua a vivere di una strana ambizione, quella di diventare il partito della sinistra unico: Mélenchon vuole vivere di luce riflessa, quella di Jeremy Corbyn in Inghilterra, che ha fatto splendere il Labour inaspettatamente alla tornata elettorale di inizio giugno, e quella di Bernie Sanders in America, che prospetta un’opa sul Partito democratico per sottrarlo alla sua ala elitaria. Dei tre Mélenchon è il più debole, ma continua a lavorare alla sua alternativa a sinistra di Macron.
Il presidente francese invece è copiato, ammirato, elogiato: ha rimesso in vita l’Europa, missione impossibile, e ha creato un caso politico che viene analizzato ovunque, mentre alcuni sperano nell’emulazione. In questa luna di miele, Macron corre soltanto due rischi: la compagine variegata che ha messo insieme potrebbe mostrare delle divergenze interne problematiche; lo strapotere è un lusso, ma bisogna saperlo gestire, soprattutto quando i cantieri diventeranno vita reale, e la piazza della protesta potrà riempirsi di nuovo.