In bilico fra realtà e speranze

/ 18.04.2017
di Aldo Cazzullo

È proprio così sicuro che le presidenziali francesi siano avviate su binari già tracciati? Che Macron vinca comodamente il ballottaggio, forse arrivando già in testa al primo turno? C’è da dubitarne. La situazione è più incerta di quel che appare. Emmanuel Macron alla fine dovrebbe farcela. Ma resta un candidato più forte sui media e nei sondaggi che nel Paese e sul territorio. Senza un partito alle spalle, senza un’organizzazione, potrebbe rivelarsi esposto al dossieraggio (che ha già messo in gravissima difficoltà François Fillon) o a qualsiasi altra difficoltà; nella speranza che Putin non interferisca e che l’intelligence francese riesca a prevenire gli attacchi del terrorismo islamista.

I due dibattiti televisivi a undici non hanno detto granché. Sono emersi soprattutto candidati minori, che non saranno al ballottaggio e proprio per questo non hanno nulla da perdere: Philippe Poutou, l’antisistema di sinistra, esponente del Nuovo partito anticapitalista; la candidata di Lutte Ouvrière, Nathalie Artaud, che sogna la rivoluzione, quella vera, con i capitalisti dai tratti porcini in fuga; il vecchio notabile Nicolas Dupont-Aignan, che si appella alla Francia profonda che va a caccia e a pesca. Macron è apparso fin dall’inizio l’uomo da battere, e quindi tutti l’hanno attaccato. Lui ha risposto bene, non ha perso la calma. Almeno per il momento.

Enarca, banchiere, ministro dell’Economia: sembra il profilo meno adatto a questo tempo di rivolta contro le élites, l’establishment, di cui la Scuola nazionale d’amministrazione (Ena) e appunto le banche sono simbolo. Eppure Macron ha saputo approfittare della crisi dei due grandi partiti, il socialista e il neogaullista (che Sarkozy ha ribattezzato Les Républicains), i quali non saranno presenti al secondo turno: è la prima volta che accade a entrambi nello stesso tempo. L’ex premier Manuel Valls ha metaforicamente accoltellato il presidente Hollande, ma non gli è servito a nulla: ha perso le primarie socialiste contro un personaggio poco conosciuto, esponente della sinistra del partito, Benoit Hamon, il cui elettorato è sovrapponibile a quello di Jean-Luc Melenchon, che dal partito è uscito appunto a sinistra. Da qui l’autostrada che si è aperta per Macron, grazie anche allo scandalo familista in cui è incappato il candidato della destra repubblicana, l’ex primo ministro di Sarkozy, Fillon, che ha versato 800 mila euro di fondi pubblici alla moglie Penelope per non lavorare.

Resta l’incognita Marine Le Pen. Sembra impossibile che un Paese politicamente «strutturato» come la Francia attribuisca il 51 per cento a una leader che resta un outsider. Certo, Marine non è il padre. Contro di lei non ci sarà «l’unione sacra» che si formò contro Jean-Marie Le Pen nel 2002, quando la sinistra non fece mancare un voto a Jacques Chirac. Rispetto a quindici anni fa, i francesi sono disillusi nei confronti dell’Europa, arrabbiati verso il sistema, perplessi di fronte al mondo globale. La speranza è che la maggioranza si renda conto che un Paese esportatore come la Francia non ha nulla da guadagnare dalla chiusura dei mercati e dal ritorno delle frontiere.