La primavera dello scorso anno ho avuto l’occasione di salire con mia figlia, mio genero e mio nipote il Sacro Monte di Varese. L’abbiamo fatto chiaramente da turisti e non da pellegrini. A dir la verità quel giorno la maggior parte di quelli che salivano con noi erano turisti. La prima volta che avevo fatto questa ascensione, potevo avere dieci o dodici anni, l’avevo fatta da pellegrino, in compagnia di una zia che aveva un suo voto da mantenere. In quella visita di 70 anni fa ero rimasto impressionato dalle cappelle e dai loro soggetti. Mio nipote, invece, che stava facendo la salita più o meno all’età in cui l’avevo fatto io la prima volta, non si sentiva attirato molto dai soggetti della storia sacra. A lui interessavano di più le iscrizioni in latino che cercava di decifrare con le sue scarse conoscenze di quella lingua. Convenimmo comunque che il Sacro Monte di Varese è un monumento importante e che certamente meritava l’iscrizione nel catalogo del patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Come fanno molti turisti stranieri in Italia trovammo il tempo di deprecare che le autorità di quel paese non dedichino più attenzione ai loro monumenti e non si preoccupino di facilitarne l’accesso a chi viene da lontano. A differenza di 70 anni fa, quando i monti sacri erano destinazioni per i pellegrinaggi religiosi di credenti cattolici, oggi sono diventati, specialmente se iscritti nella lista dei monumenti dell’Unesco, itinerari turistici che attraggono persone da tutto il mondo e di tutte le religioni. Ma si tratta proprio di una differenza significativa? A sentire Valentin Groebner, un ricercatore austriaco che insegna storia all’università di Lucerna, si tratta si di pubblici diversi ma, in fondo in fondo, della medesima forma di turismo: il turismo di chi coltiva interessi storici. Questo giudizio si estende non solo ai visitatori dei miei tempi da bambino, ma a tutti i visitatori dei monti sacri, a partire da quando sono stati costruiti, cioè tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo.
Nel suo volume «Retroland», uscito lo scorso anno, Groebner descrive le esperienze dei pellegrini che visitarono i sacri monti cento, duecento o anche più secoli fa, esattamente come fossero quelle di un turista di oggi che vuole risalire nel tempo all’epoca i cui successero i fatti. All’inizio del Rinascimento, scrive Groebner, questo fenomeno di «retroattivazione» ossia di ricreazione del passato era molto diffuso. Ovviamente non tutti potevano visitare i siti storici della Palestina per essere vicini ai luoghi della storia sacra. Ecco allora che imprenditori previdenti si dettero da fare per avvicinare questi siti alla possibile domanda costruendo per l’appunto i monti sacri. Il visitatore poteva così viaggiare migliaia di anni indietro nel tempo ed essere testimone diretto di quanto era avvenuto. Quando la copia era precisa, artisticamente pregevole e realizzata senza badare al dispendio di mezzi, essa permetteva addirittura di stabilire una relazione fisica con l’avvenimento storico che rappresentava. A Varallo, che è dei monti sacri del nord Italia quello più antico, il pellegrino poteva addirittura entrare nella cappella e quindi, di fatto mescolarsi con i protagonisti dell’episodio di storia sacra ivi rappresentato. Si poteva addirittura discutere, a proposito di questo o quell’episodio della storia sacra, in quale dei monti era stato reso con maggiore autenticità.
Tra turismo e storia, in questo caso la storia della riproduzione della storia della vita di Gesù o di qualche santo, esistono quindi relazioni importanti. Queste relazioni esistono per tutti i monumenti storici, afferma Groebner. A differenza di quanto molti di noi potrebbero credere non è così importante se il monumento da visitare sia o meno autentico. Il ponte di legno di Lucerna continua a restare il simbolo della Lucerna medievale anche se dal Medioevo ad oggi è stato distrutto e ricostruito diverse volte. Perché resti un’attrazione turistica occorre che il visitatore sia convinto che quello che vede sia una riproduzione autentica del monumento originale.