Ogni volta che qualcuno mi parla di politica, mi chiede come mai Matteo Salvini non voglia andare a votare. Ovviamente non lo so. Forse non lo sa neanche lui. La «finestra» per andare alle urne a settembre, prima dell’esame parlamentare della legge di bilancio, si è virtualmente chiusa. Chi sperava in elezioni anticipate dovrà ancora pazientare. Ma forse non per molto tempo.
Questi mesi saranno ricordati come il tempo dell’ascesa di Salvini. L’impressione è che il leader della Lega abbia raggiunto l’apice, e gli convenga monetizzare il consenso accumulato in questo periodo, affrontando le urne probabilmente all’inizio del 2020. Certo, i Cinque Stelle sono pronti a tutto pur di evitare il voto anticipato: un anno fa annunciavano di voler togliere ai Benetton le Autostrade, e ora gli hanno dato pure l’Alitalia. Ma difficilmente questa legislatura potrà proseguire se Salvini deciderà diversamente. L’elezione di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd presuppone il dialogo con i grillini; ma un accordo prima delle urne – e solo per evitarle – provocherebbe un’immediata scissione nel partito democratico, Renzi e i renziani se ne andrebbero, e probabilmente i numeri per un nuovo governo verrebbero a mancare.
Se questo è lo scenario, però, non ci si deve stupire che l’Italia resti l’anello debole del sistema finanziario ed economico europeo. L’Italia è un Paese attaccabile, proprio perché non è stabile. Non soltanto i Bund tedeschi, ma pure i buoni del tesoro francesi a cinque anni hanno un rendimento negativo: la Francia quindi non paga interessi per finanziare il debito pubblico, proprio perché è un Paese affidabile. C’è un presidente, ha una maggioranza, e se ne riparla a fine mandato. L’Italia combina in sé tutte le caratteristiche negative: alto debito pubblico, bassa crescita, forte instabilità. E qualsiasi leadership prima o poi si logora.
Certo, altri Paesi sono in difficoltà. In Spagna si è votato a fine aprile, e ancora non c’è un governo nel pieno dei poteri. I populisti di Podemos recalcitrano, ma è probabile che finiranno per trovare un accordo con i socialisti. Non a caso la Spagna sta sostituendo l’Italia in molti tavoli europei, perché è considerata un Paese meno imprevedibile.
Lo scandalo delle conversazioni registrate tra l’ex portavoce di Salvini e i suoi interlocutori russi non ha scosso più di tanto l’opinione pubblica: troppo alte le quotazioni del leader leghista. E non è certo possibile andare a votare con il pretesto di uno scandalo. La rottura avverrà verosimilmente sulla questione fiscale.
La Lega vuole la flat tax, l’aliquota unica uguale per tutti, ma non ci sono i soldi per finanziare questo provvedimento (peraltro incostituzionale: la Carta prevede la progressività delle imposte). Se, com’è probabile, l’Europa boccerà la manovra d’autunno, Salvini si ritroverà in mano un ottimo argomento per impostare la campagna elettorale.
In difficoltà saranno anche i Cinque Stelle, la cui spinta propulsiva sembra esaurita. Ma sarebbe sbagliato darli per morti. L’Italia e l’Europa restano luoghi di ingiustizie. Molti elettori sono indignati, e con ragione. La casta dei politici non ha rinunciato di fatto ai suoi privilegi; ma la colpa non è soltanto loro. Si pensi ai premi milionari versati a manager che hanno rovinato le loro aziende, pagando non il merito ma lo status, non il lavoro ma il privilegio, come nell’Antico Regime. Le ragioni che hanno indotto milioni di italiani a votare Cinque Stelle sono ancora lì, intatte. Ad esempio, rovesciare questo sistema assurdo per cui più lavoro si crea, più tasse si pagano, mentre più soldi si incassano e meno lavoro si crea, meno tasse si pagano. Farla finita con l’assurdità per cui i veri ricchi si rifugiano nei paradisi fiscali, mentre il ceto medio viene spremuto fino all’inverosimile. Rinnovare le classi dirigenti del Paese, mai tanto screditate. Insomma, sarebbe sbagliato considerare i Cinque Stelle finiti. I voti popolari che hanno perso alle Europee sono andati tutti alla Lega, non al Pd. Questo potrebbe facilitare eventuali accordi futuri con i democratici, che neppure gli ormai ex renziani Lotti e Guerini ora escludono.