Il sud che era di tutti

/ 07.10.2019
di Maria Bettetini

Sto seguendo una tesi magistrale sulla presenza dell’arte islamica a Palermo. In verità, ne stiamo constatando la quasi assenza. La Zisa con lo splendido giardino da poco ristrutturato, la Porta Felice, il segno di maestranze arabe nei mosaici delle Stanze di Palazzo dei Normanni. I Normanni: tutto è appunto arabo-normanno, segno del desiderio di inglobare una cultura nell’altra, e non sempre pacificamente. Eppure fu proprio un «uomo del nord» a ottenere in Sicilia una relativamente serena convivenza tra cristiani, ebrei, islamici, bizantini.Federico viene ricordato solo come eresiarca, capo di un gruppo di eretici. Così come in vita fu scomunicato due volte, e a nulla valse la sua incruenta crociata che riscattò Gerusalemme.

Il rapporto con il Papato è squisitamente politico, non ha nulla di religioso, a noi – faticosamente in cerca di separazioni senza interventi tra la religione e la vita militare e politica, a noi scandalizza. Eppure fu profonda la rivoluzione culturale messa in atto da un uomo vissuto 56 anni, sfuggito fin dalla nascita (nella piazza di Jesi, durante il viaggio della madre per raggiungere il padre, Enrico VI) a complotti omicidi, cresciuto orfano a Palermo, dove si racconta che fuggisse dal palazzo reale per mescolarsi ai ragazzini arabi, ebrei, normanni, greci, latini. Preso il potere, maggiorenne a sedici anni, la sua vita è tutta tesa a salvare entrambi i suoi regni, quello di Svevia, lassù, e quello di Sicilia (comprendente in realtà anche Puglia, Basilicata, Calabria e la parte sud della Campania).

Mai fermi i suoi nemici, il Papato e i principi del nord, quella che spicca è la personalità di un uomo deciso nelle idee politiche, attento a ogni forma di bellezza e novità, che nacque pretendente di tante corone e tutte le ottenne. Con Federico nasce e cresce la prima poesia italiana, l’architettura si lancia in imprese che ancora piacciono e stupiscono: ogni città o cittadina dovevano avere una chiesa – e tante ne rimangono nel sud Italia – e un castello, virtuale residenza di Federico, che avrebbe potuto in ogni momento decidere di fermarsi in un posto o un altro, quindi un maniero come icona dell’onnipresenza del signore.

Castel del Monte, pur depredato e ormai quasi privo di orpelli, lascia senza fiato e suscita ancora oggi mille ipotesi sul significato dell’ottagono con torri ottagonali. Influenza della mistica islamica? Forse. Perché il più importante aspetto della cultura di una corte itinerante, come quella di Carlo Magno, quella del padrone che controlla senza preavviso l’agire dei suoi uomini, ecco, la cultura di quella corte parla molte lingue. Che non si sovrappongono, non si zittiscono a vicenda, ma conoscono una certa libertà di convivenza: i mosaici dei palazzi sono creati da manovalanza araba, come anche molte architetture. Ed è inutile che noi schizzinosi ricordiamo e deploriamo l’isolamento abitativo di ebrei e islamici, il loro dovere di avere sull’abito un segno di riconoscimento (una fusciacca per l’Islam, prima un mantello celeste, poi un cerchio rosso per gli ebrei), la disparità nella tassazione, sempre meno pesante per i cristiani.

Parliamo del XIII secolo, ancora tempo di crociate e di battaglie contro i saraceni a suon di rapimenti, che chiedevano – da entrambe le parti - un riscatto per i prigionieri ricchi, e vendevano come schiavi tutti gli altri. In questa bella atmosfera il sud Italia non cacciava nessuno, chiedeva a tutti una collaborazione nelle arti, nelle guerre, nella politica. Oggi esistono ancora i ghetti, non più per gli ebrei, ma solo da una cinquantina d’anni. Oggi guardiamo al colore della pelle, all’accento, al taglio degli occhi prima di dar retta a un altro umano. E sono passati quasi otto secoli.