Vladimir Putin si è di recente concesso ai giornalisti europei per quelle che vengono chiamate le interviste-manifesto: provo a raccontarvi la mia filosofia. Dopo vent’anni di potere, il presidente russo non ha molto di nuovo da dire e un’idea su di lui ce l’abbiamo più o meno tutti, ma Putin ama comunque colpire dove fa male e gli europei sempre sulla difensiva non riescono quasi mai a parare le scudisciate russe: è accaduto ancora negli scorsi giorni quando il capo del Cremlino ha detto al «Financial Times» che il «liberalismo è obsoleto», è «entrato in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione» e con «i valori tradizionali».
A quel punto i commentatori si sono divisi in due, lungo quella faglia che abbiamo imparato a conoscere: c’è chi dice che va bene tutto, ma lezioni di liberalismo da Putin non ne prendiamo; c’è chi dice che, scoccia ammetterlo, ma Putin ha ragione, lo dicono orde di politici e intellettuali anche da questa parte del mondo che il liberalismo non funziona più. Questa frattura – sempre identica a se stessa, ma molto profonda e anche dolorosa – sancisce il successo dell’operazione di Putin: è questo che vuole, il presidente russo, dividerci.
«Liberalismo» in occidente è diventato un termine controverso e a tratti indicibile: persino il liberalissimo presidente francese, Emmanuel Macron, ha deciso di non mettere alcun riferimento nel nome del suo nuovo partito europeo, Renew Europe. Non si può certo dire che Macron sia poco coraggioso nel suo liberalismo, ma un po’ di tattica e cautela servono sempre: il popolo va pur sempre convinto. Per di più, il liberalismo è diventato ormai il simbolo di tutti i mali anche in territori politici che dovrebbero avere a cuore quella libertà che sta alla base etimologica del termine, con effetti perversi e anche parecchio miopi.
Piaccia o no, non c’è grafico, trend, analisi che non dimostri che benessere e liberalismo vanno a braccetto, e che anzi questa formula ha permesso di coccolare e compiere molti progressi. Ma anche i fatti e i numeri sono ormai strattonati dall’ideologia e così ci siamo ritrovati nella bizzarra posizione di doverci sentir dire da Putin che il liberalismo è obsoleto, cioè siamo stati sgridati da un leader che per mantenere il potere ha sacrificato la stragrande maggioranza delle libertà del suo Paese – non ultima quella libertà economica che ha contribuito a impoverire la Russia. Ce lo dimentichiamo con straordinaria ostinazione, ma l’economia russa non è affatto prospera: il pil pro capite è la metà di quello americano, ma un altro dato interessante dice che la crescita in rapporto al pil per ogni russo è stata, dal 2009 al 2018, soltanto di 1,8 per cento ogni anno. Il legame virtuoso tra libertà, progresso e ricchezza è dimostrato proprio dal caso russo.
Ma i fatti e i numeri, dicevamo, non contano. Conta che il presidente americano, Donald Trump, quando gli viene chiesto se il liberalismo è obsoleto si mette a parlare della California e delle politiche liberal, cioè di quella che lui chiama la «deriva socialista» del Partito democratico: se il presidente degli Stati Uniti non sa nemmeno di che cosa si parla quando si parla di liberalismo, diventa tutto un po’ complicato. Per di più in una stagione in cui il fascino per le idee forti, per gli uomini forti ha la meglio su tutto il resto. Così la difesa del liberalismo non è toccata a Trump, che non ne è nemmeno capace – e probabilmente non la farebbe comunque, il che è peggio – ma agli europei che più sono stati e sono esposti alla minaccia russa.
Quando l’assenza di libertà la puoi vedere da vicino o anzi l’hai anche vissuta sulla tua pelle, trovi presto le parole per uno come Putin. L’europeista polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo in uscita (al suo posto è stato nominato il belga Charles Michel), ha detto: «Chiunque dichiari che la democrazia liberale è obsoleta dice anche che le libertà sono obsolete, lo stato di diritto è obsoleto, i diritti umani sono obsoleti». Si carica il liberalismo di ogni accezione negativa possibile, ma obsoleto, tanto per dirne una, è il ritorno di ideologie che sono state seppellite dalla storia (liberale), un revival tanto violento che sono tornati gli omicidi politici di stampo neonazista, come quello di Jo Cox in Inghilterra nel 2016 e quello recentissimo del politico tedesco cristianodemocratico Walter Lübcke. E ancora ci voltiamo dall’altra parte, anzi siamo addirittura ossequiosi con il putinismo, rendendo attuale quel che sì era davvero obsoleto.