Di fronte all’ennesimo studio che attesta gli aspetti negativi del-l’esposizione di bambini tra i 2 e i 5 anni all’uso di tablet e smartphone, Luigi si ferma a pensare. A colpirlo non è tanto la conclusione pessimistica della ricerca. Un gruppo di psicologi dell’Università canadese di Calgary giunge ad affermare che i piccoli, allevati all’uso precoce di queste tecnologie, si rivelerebbero nel corso dello sviluppo meno capaci da un punto di vista motorio, presentando inoltre difficoltà di comunicazione verbale e gestuale verso altri bambini. Luigi si scopre spesso, da genitore ormai avanti negli anni, a notare quanto padri e madri siano ormai abituati a considerare gli oggetti digitali come dispositivi educativi. Tra sé e sé Luigi li definisce scherzando, invece, «armi paralizzanti». Soprattutto quando li vede usare per disinnescare i momenti critici della professione genitoriale.
Nel caso di questa notizia, però, Luigi è colpito piuttosto dalla chiusura dell’articolo. Gli stessi psicologi invitano i genitori all’uso del buonsenso per decidere come e quando esporre i pargoli all’uso dei dispositivi elettronici di cui sopra. La ricetta sembra proprio minimalista e anche un po’ disperata. Ma, fermandosi un momento a riflettere, Luigi ha l’impressione che a stridere in tutto questo contesto sia proprio il termine di «buonsenso». È quello a non andar per nulla d’accordo con il mondo delle nuove tecnologie. Luigi ripensa a come si sono evolute le cose negli ultimi vent’anni.
All’inizio pareva che tutti avrebbero voluto/dovuto avere un loro sito web personale. Il buonsenso diceva che era troppo complicato (occorreva imparare cose piuttosto complesse) ma la voce della nuova era profetizzava: «Tutti avranno il loro spazio su Internet». Allora, via! In tanti iniziarono a cercare programmi per la pubblicazione di pagine web, partecipando a corsi per adulti e sessioni serali di informatica, per evolvere verso il futuro. Di fronte alla difficoltà d’uso di questi strumenti molti (tra cui lo stesso Luigi) si dissero «Non vale la pena».
Ma già era nata l’idea di fornire alle persone delle piattaforme più semplici e funzionali. Erano gli anni del Web 2.0: quelli in cui tutti avrebbero dovuto avere il proprio blog. Vari contenitori facilmente programmabili, furono allestiti, gratuitamente, affinché le persone potessero dire la loro. Si scoprì poi che essendo tutti occupati a scrivere le proprie storie nessuno aveva tempo di leggere quelle degli altri, magari anche interessanti ma... troppe. E anche lì, la moda piuttosto rapidamente finì nel nulla. Luigi ci si era messo anche d’impegno con il suo blog sul giardinaggio, ma in pochi mesi... era appassito.
Meno male che nel frattempo era arrivata l’era dei social, semplificando tutto ancor di più. Finalmente i pensieri e le opinioni potevano trovare dei lettori. Peccato che tutti i contenuti si mescolavano tra loro in un guazzabuglio di voci senza una vera coerenza né un vero discorso possibile. Anzi: le opinioni di Luigi venivano sommerse in poco tempo da quelle che non condivideva, provenienti da persone con cui ingenuamente si era ritenuto in sintonia ma che alla prova dei fatti si rivelavano ahimè molto diverse da lui. Ritornando col pensiero a queste sue esperienze Luigi si accorge che una sola cosa avrebbe potuto risparmiargli fatiche e delusioni: il buonsenso. Lui e molti altri l’hanno ignorato.
Esercitare il buonsenso è e sarà sempre il nostro paracadute, certo. Cosa ci garantisce però che d’ora in avanti potremmo essere in grado di utilizzarlo? Al punto in cui siamo, sorride Luigi, finché non ci progetteranno l’app necessaria non ne saremo capaci.