Il peso di un passato mai superato

/ 29.04.2019
di Peter Schiesser

Rieccoli, i fantasmi che perseguitano lo Sri Lanka, e tanto sangue e sofferenze hanno provocato da un secolo e mezzo a questa parte: radicalismi, fanatismi, intolleranza, violenza – tutto celato dietro le bellezze di un’isola che viene definita la Perla dell’Oceano indiano e nell’animo della maggioranza singalese la Dhammadvipa, l’isola della fede del Buddha. Tanti di noi l’hanno visitata, conoscono Colombo e Negombo, i luoghi degli attentati, sono certo rimasti incantati dalla gentilezza delle persone, dalle bellezze di città e luoghi come Kandy, Galle, Sigiriya, Polonnaruwa, Anuradhapura, dalla natura, dalle spiagge, e avranno creduto al mito dell’isola pacifica, soprattutto dopo la fine della guerra etnico-civile che ha contrapposto tamil e singalesi per un quarto di secolo (al prezzo di 100-200 mila morti). Ma oltre al mito esiste un’altra realtà, ben più violenta, che ha radici profonde e su cui oggi si innesta un movimento di radicalizzazione islamica con ramificazioni mondiali.

Per chi scrive, resterà sempre un mistero come nove persone, perlopiù di buona famiglia, possano radicalizzarsi al punto da decidere di trascinare con sé nella morte degli innocenti fedeli in preghiera: due erano figli di uno degli uomini più ricchi dello Sri Lanka, la moglie di uno dei quali si è fatta esplodere davanti ai due figli piccoli uccidendoli, quando la polizia ha fatto irruzione nella villa paterna dei due. Ma queste sono le conseguenze di una radicalizzazione in atto in molti paesi dell’Asia, in cui le vittime sono alternativamente musulmani e cristiani.

Visitando l’isola poco più di due anni fa, 28 anni dopo avervi trascorso 3 mesi in piena guerra etnica fra tamil e singalesi, coincisi con un’insurrezione degli sciovinisti singalesi del JVP contro il potere centrale singalese, repressa sanguinosamente, ho constatato che la pace seguita alla sconfitta militare delle Tigri Tamil nel maggio del 2009 (con la morte del loro capo Prabhakaran) non aveva dato spazio alla riconciliazione. I tamil restavano cittadini di serie B, le radici del confitto, le discriminazioni che avevano generato la sollevazione armata di numerosi gruppi tamil, sui quali sanguinosamente si erano imposte le Tigri di Velupillai Prabhakaran, erano ancora lì: il singalese come unica lingua nazionale, l’accesso limitato per i tamil a università e posti statali. Al contempo, coglievo dei segnali di insofferenza della popolazione singalese-buddista verso la comunità musulmana, inesistenti 30 anni addietro, dovuti ad una crescente incidenza demografica di questa minoranza, a una presunta supremazia economica, ma soprattutto ad un’effettiva radicalizzazione in corso in alcune frange musulmane, a seguito dell’arrivo di predicatori salafisti. Che oggi i terroristi abbiano colpito i cristiani anziché i buddisti è probabilmente dovuto al contesto internazionale, di una estesa lotta degli estremisti islamici contro l’Occidente cristiano.

Ma, appunto, la radicalizzazione non è solo dei musulmani: poco prima della mia ultima visita e ancora pochi mesi fa, fanatici buddisti (aizzati da un basso clero buddista) hanno attaccato dei musulmani, bruciato negozi, assaltato e ucciso, uscendone impuniti. La decisione del governo di bloccare i social media è stata presa per evitare di infuocare ulteriormente la situazione, benché qualche aggressione contro i musulmani ci sia stata in questi giorni, e a decine siano stati trasferiti in zone più sicure. Tutto questo, compresi indirettamente i massacri di Pasqua, ha radici lontane: affonda nel desiderio di rivalsa, di affermazione dei singalesi sorto 150 anni fa. Allora come oggi i singalesi erano in maggioranza ma a quei tempi senza potere, e sulla spinta di un crescente sciovinismo forgiarono un’identità che poteva crescere solo in contrapposizione agli altri gruppi etnici e religiosi. Questa violenta volontà di affermazione dei singalesi, che si sentivano e si sentono superiori agli altri, portò a scontri dapprima con i cristiani (1883), poi con i musulmani (1915) quindi con i malay indiani negli anni Trenta, infine con i tamil autoctoni, culminati con i massacri del «luglio nero» del 1983, in cui vennero uccisi a migliaia dopo la prima azione militare delle Tigri di Prabhakaran.

Ma non fermiamoci qui: accanto a queste tensioni etnico-religiose, dobbiamo registrare le repressioni avvenute durante la presidenza di Mahinda Rajapaksa (che stroncò le Tigri al prezzo di migliaia di vittime civili, tamil ovviamente), che nella società singalese comportarono anche l’assassinio di innumerevoli giornalisti indipendenti e alla fine la chiusura dell’unico giornale indipendente, «The Sunday Leader», il cui direttore Lasantha Wickrematunge venne rapito e ucciso e i colpevoli mai trovati. Dunque: Sri Lanka, la perla o la lacrima dell’Oceano indiano?