Il peso della sensibilità

/ 09.07.2018
di Maria Bettetini

Come un gatto sotto il divano. L’immagine rende perfettamente lo stato emotivo di coloro che soffrono di un tratto genetico poco riconosciuto, la troppa sensibilità. Così si nasce, così si deve crescere, come racconta Federica Bosco in un libro che diventa manuale per chi soffre di iperefficienza mentale o ipersensibilità, Mi dicevano che ero troppo sensibile (Vallardi). Sottotitolo: Per chi si sente sbagliato, un percorso per scoprire come tramutare l’ipersensibilità in una risorsa preziosa. Bosco racconta di sé, e forse questa è l’unica pecca del libro, racconta molto di sé, ma le si perdona tutto a fronte del valore incommensurabile del pacato racconto di chi si sente sempre fuori posto perché ha più degli altri, ma non sa come gestirlo.

Gli ipersensibili sono coloro che da bambini si sentono sempre a disagio: magari balbettano, o arrossiscono per un nonnulla, certo percepiscono tutto quello che si muove loro attorno, una tensione, uno sguardo, soprattutto la sofferenza degli altri. Non è detto che siano geniali, Leopardi non nasce tutti i giorni e poi è difficile avere come modello uno che si lava poco e non indovina una, che sia una tra le tante possibili mosse con gli amici, le amiche, le ragazze. Però esistono questi bambini che potrebbero stare bene con i coetanei ma in verità non legano con nessuno, che piangono troppo spesso, si isolano. Non sono proprio dei disadattati, non hanno turbe dell’apprendimento né forme di mancanze neuronali. Probabilmente funzionano più con l’emisfero destro del cervello che col sinistro, il loro sentire è così forte da inibire alla sorgente ogni possibile intervento della razionalità. Non sanno calcolare la loro convenienza, si innamorano di chiunque sembri accoglierli per quello che sono, salvo poi ricevere terribili delusioni, a volte anche prese in giro. Infatti proprio gli ipersensibili attirano bulli e malavitosi, non necessariamente armati di lupara. La loro debolezza è così evidente, che nel dubbio diventano oggetto di contumelie, di raggiri, di storie d’amore destinate a fallimenti anche ridicoli, che è il peggio che si possa immaginare. Anche se è ricco, biondo e di gentile aspetto, il giovane troppo sensibile sarà preso per effemminato, se maschio; per lagnosa, se femmina. Anzi, proprio l’invidia per quelle doti che in altri non danno alcun fastidio susciterà sgarbi e tradimenti ritenuti legittimi, da coloro che si sentono defraudati per i troppi doni recati dalla vita a quell’uomo, quella donna sensibile.

Non fanno paura, i sensibili, perché mai potrebbero avere il coraggio di una vendetta, di un’azione disturbante. Come l’Altezza reale dell’omonimo romanzo breve di Thomas Mann, che sconta la sua nobiltà con i lazzi dei coetanei che dovrebbero introdurlo alla vita di mondo, così il sensibile sa che se volesse far rumore, essere sguaiato, farla pagare a tutti, sarebbe oggetto di un «oh oh!» che lo spaventerebbe, rendendolo poco credibile, quindi ridicolo. Però non tutto è perduto per chi ha ricevuto dai genitori questo ingombrante bagaglio. No, non è vero che chi soffre di più allo stesso tempo gode di più, approfitta meglio dei momenti di felicità. Non è questa la via per chi è troppo sensibile, perché la sua caratteristica lo porta a temere e tremare, quindi abbandonato a se stesso anche davanti a momenti positivi della vita si domanderà a quale disgrazia preludono, quale colpa indicano e soprattutto sarà certo di non meritare quello che sta vivendo, quindi di essere un usurpatore di felicità altrui – quella sì ben meritata. No, la via sembra essere un’altra.

L’inizio sarebbe nel chiamare col suo nome questo che non è un disturbo, una malattia, una mancanza, ma uno stato delle cose, come gli occhi neri e la carnagione chiara o scura. Dovremmo poi sapere, nell’età adulta, che nessuno è ben accettato come chi si accetta, quindi il primo passo sarà accettare di avere queste caratteristiche, così come maturando di solito si riesce anche a ridere di una bassa statura, delle lentiggini, di piedi troppo lunghi. Dopo l’adolescenza è vietato fare confronti e invidiare. Come ci si fa una ragione del dover sempre accorciare i pantaloni appena comprati, così bisognerà tener conto del bisogno di pace, di solitudine, di riposo che ha chi è sempre sovra-stimolato. Pazienza se non frequenterà luoghi affollati, non si divertirà a feste chiassose, non amerà i viaggi frenetici di chi invece fugge da ogni incontro con se stesso. L’uomo e la donna molto sensibili recuperano forze nel concentrarsi, non nella dispersione, non temono di guardarsi dentro, fuggono dai troppi sguardi esteriori, che sentono su di sé anche se forse sono solo distratti. Ma pensano che anche tutti gli altri vivano come loro, attenti, attentissimi. Sono più infelici di altri? O più fortunati? Anche per loro vale la battaglia di tutti per volersi bene, così come siamo, che è il meglio.