Il Milieu du Monde a Pompaples

/ 13.04.2020
di Oliver Scharpf

Dalla stazione di La Sarraz, a passo impigrito ma non troppo, in dieci minuti neanche, passando accanto al castello, arrivo a uno specchio d’acqua semi-circolare recintato. A ridosso di una vecchia casa di tre piani con persiane color rosso mattone. È questo il Milieu du Monde (483 m): il centro del mondo come lo chiamano da secoli qui da queste parti. Nessun cartello né niente indica questo microlaghetto a mezzaluna di rinomanza regionale, le cui acque vanno verso il Mediterraneo da una parte, dall’altra verso il Mare del Nord. Guardo bene e lì a sinistra c’è la chiusa dove l’acqua sparisce sottoterra, riemergendo prima del castello per gettarsi poi tra le braccia della Venoge che sfocia nel Lemano. Il viaggio continua attraverso il Rodano fino alla Camargue e il mare. L’altra uscita è qui davanti al naso: passa sotto il parchetto e la strada, rispunta in un canale che si dirige a destra verso il corso del Nozon dal quale proviene, poi un attimo di Talent, la Thielle, lago di Neuchâtel, lago di Bienne, Aare, Reno, Mare del Nord.

Risale al 1551 l’idea di un sire dei Gingins-La Sarraz di deviare una parte delle acque del Nozon verso il suo mulino. Moulin Bornu si legge ancora, lassù in alto sulla facciata del silo attaccato alla casa di pietra chiara. Il grano non si macina più da anni, ora c’è una ditta di cibo per cani, pezzi di ricambi per acquari, yoga. Augine si chiama la roggia cinquecentesca che collega il Nozon, passando da qui, al Rodano. Un canale di allevamento di trote, al contempo, riporta, dopo questa digressione idrografica, parte di queste acque al loro corso naturale: il Nozon che a Orny piega verso nord. Due trote nuotano tranquille al centro del mondo. Tre tavoli da picnic in pietra sono sparsi nel parchetto, attorno all’ippocastano secolare ancora in letargo. Più una panchina, sempre in pietra, solitaria, dove mi siedo verso le due di un pomeriggio di sole ai primi di aprile. «Mayaa! Mayaaa! Allez, viens!» grida una bambina al suo corgi gallese troppo pigro. M’incuriosisce molto l’apertura da darsena, sbarrata con assi a pelo d’acqua, nella casa. Sopra ci sono un paio di finestre. Immagino uno stagno interno segreto con carpe koi per fare compagnia ai bonsai.

Sorseggio la mia verbena versata dalla thermos, in faccia alla «fontana» come la definisce Paul Budry (1883-1949). Autore tra l’altro di Trois hommes dans une Talbot (1928) – uno dei tre era Ramuz – che di questo posto scrive: «quando vado a piangere lì la mia pena, nord e sud sanno del mio dispiacere». Etienne Clouzot (1881-1944) – paleografo, critico cinematografico, e zio di un famoso regista francese – ripesca invece, nel suo articolo Milieu du monde et bout du monde apparso nel 1942 sulla «Revue d’histoire suisse», un altro punto di vista: «Benedict Humbert, in un affascinante opuscolo intitolato Le tour du lac Léman et autres pièces fugitives fa notare che a Pompaples si può benissimo sputare in due mari». Margheritine e Corydalis cava bianche e violetto, tra l’erba. La bambina di prima che abita qui, sfreccia sul monopattino con il suo corgi pigrone in braccio. È questo bacino, nel 1638, a ispirare Elie du Plessis-Gouret (1586-1656) – maggiordomo-matematico – per il suo progetto pazzo di collegare con una via navigabile, l’Olanda al Mediterraneo. Il Canal d’Entreroches, rimasto incompiuto, è stato comunque costruito fino a raggiungere venticinque chilometri tra Yverdon e Cossonay.

Da tanto che ho in testa di cercare i suoi resti, ritrovo un po’ di wanderlust e via, inutile rimanere qui a oziare. Certo, una deviazione all’Auberge au Milieu du Monde, nel centro di Pompaples, paesino sperduto di seicento e passa anime, andrebbe fatta. Immortalato in un film di Alain Tanner intitolato proprio Le Milieu du Monde (1974) e girato tutto tra questi campi di colza e il ristorante, dove lavora la protagonista, Adriana, una cameriera italiana, ci ero andato per caso anni fa per un caffè. Chiuso per pandemia, va però detto che fuori ha perso un po’ il suo fascino. Sparite le tende a strisce bianche e blu dell’Henniez, i caratteri gotici della scritta, le persiane dipinte a fiammate, l’insegna in ferro battuto con croce federale e stemma comunale: un martello e una tenaglia. Strumenti dei fabbri fluviali. Costeggio il canale di allevamento, una roggia tra filari di pioppi che scorre verso Orny e sembra habitat ideale di spugnole. Taglio in mezzo ai campi arati che appaiono all’inizio e alla fine del film di Tanner abbinati alla musica progressiva di Patrick Moraz.

Un’ora circa e raggiungo la casa seicentesca di una delle chiuse dell’antico canale di Entreroches, scavato tra le rocce del Mormont. Una pietra romana con iscrizione trovata durante gli scavi decennali, è lì nel prato. Proseguo inerpicandomi nel bosco e poi ridiscendo in un avvallamento. Mura, acqua, rovi, ecco cosa rimane del canale in funzione fino al 1829 e usato per trasportare vino vodese, spesso scolato anzitempo dai battellieri, a Soletta. Ritorno al grazioso bacino spartiacque – egocentrico per antifrasi visto che è un po’ fuorimano – pensando, tra i campi, alla voce off all’inizio di Le Milieu du Monde: «in realtà ci sono tanti centri del mondo quante sono le persone». Il mio ora, è un negozietto portoghese di La Sarraz dove so che in frigo, in bottigliette piccole di vetro verde, tengono la Pedras. Acqua minerale frizzante naturale buonissima, leggermente salata, risalente al 1873, la cui fonte, nel nord del Portogallo, è racchiusa come in una chiesetta di campagna.