L’espressione del piccolo Luigi è estremamente eloquente. Quando un bambino di quattro anni aggrotta le ciglia può intimidire davvero. Urla: «La smettete di parlare che non riesco a sentire i cartoni alla tv?». Al tavolo dei festeggiamenti gli adulti si guardano perplessi. Tutti, naturalmente, sono ammutoliti. L’unico che, dopo qualche momento, osa esprimere il proprio pensiero sottovoce è Giovanni (naturalmente il solo tra i commensali a non avere figli): «Se avessi detto una cosa del genere a casa mia mi sarei preso una bella sculacciata... Una volta erano i bambini che dovevano stare zitti». Nel silenzio colpevole che segue ognuno di noi fa il suo esame di coscienza. Nessuno, in realtà, se la sente di rimproverare i genitori del piccolo Luigi. Hanno lavorato sodo fino a poche ore fa. Sono tornati a casa di corsa dall’ufficio e si sono fatti in quattro per allestire una bella tavola delle feste, per preparare un buon menu. Hanno messo sotto l’albero un bel pacchetto per ognuno degli amici, scegliendo con cura e simpatia il regalo più indicato per ognuno.
Come accusare loro di aver forse un po’ trascurato il fattore più instabile, meno prevedibile... i figli? E i due ragazzini, Luigi e Andrea, quattro e sei anni, in parte sinceramente entusiasti per la riunione di famiglia, in parte un po’ scocciati per l’invasione della privacy, hanno cominciato quasi subito a sabotare la festa. Anzi a infierire sui genitori.
Il repertorio delle piccole intemperanze infantili in questi contesti è noto. La strategia del disturbo agisce in modo progressivo e impietoso, fino al climax degli strilli e delle minacce, e poi oltre, fino a suscitare un battibecco stizzito tra partner (un «Te l’avevo detto io che dovevano andare a letto presto» a cui controbatte un «Taci, non interferire, adesso parlo io»). La conclusione del conflitto, in questi tempi di elettronica da intrattenimento, è noto. Andrea finisce in camera sua, a giocare al Lego (ma sull’iPad), mentre Luigino si impossessa del divano e viene sommerso da uno tsunami di cartoni animati pieni di strani personaggi e di boati.
E in questa finta normalità che riprende lentamente possesso della sala da pranzo i commensali si rilassano, si concentrano sulle vivande e sulle conversazioni lasciate interrotte. Veniamo a scoprire così che Anna, la madre dei due ragazzini ha appena concluso con successo un corso di coaching. La sua posizione in azienda si è molto rafforzata: ora è in grado di dare consigli mirati e lungimiranti ai suoi colleghi per aiutarli a prendere in mano la loro carriera professionale. Giulio, il padre, ha avuto un’annata molto positiva, nonostante la crisi. Progetta già delle belle vacanze sulla sua barca a vela: vive già in prospettiva dell’estate, insomma.
Proprio parlando di queste cose finiamo tutti per entusiasmarci e alzare una po’ la voce. Finché Luigino ci rimette al nostro posto.
Uscendo da casa degli amici, a fine serata, siamo costretti a pensare a quanto poco spazio, in realtà, hanno i bambini nei nostri pensieri, e con quanta ragione rivendichino attenzione dalle nostre comunità «adulte». C’è stato un tempo in cui i genitori discutevano di sistemi educativi, leggevano magari i libri di Marcello Bernardi e si sentivano comunque imperfetti, come prescriveva Bruno Bettelheim. Idealisti superficiali, pensavano che una migliore educazione potesse magari rendere il mondo un luogo migliore. Oggi l’impressione è che ci si stia arrendendo: le energie migliori le dedichiamo al lavoro o alle vacanze. All’affetto ci pensa la tecnologia.