I cortesi lettori e le lettrici ricorderanno forse che la volta scorsa, per tentare di descrivere la cosiddetta «Torino magica», abbiamo rievocato la singolare avventura di un anziano professore della locale università che teneva sul ripiano della scrivania del suo studio privato un sinistro cimelio, la tibia sinistra dello scheletro di un caduto della Grande Guerra, da lui rinvenuta nel 1920 in un camminamento dalle parti di Asiago, dopo averla alloggiata su un supporto d’oro e d’argento. La notte del 19 maggio 1946 il professore ha un incubo e sogna che uno scheletro penetri nello studio, afferri la tibia, la risistemi al suo posto nella gamba sinistra e s’impossessi del prezioso supporto.
Al risveglio il professore va nello studio e scopre che tibia e supporto sono spariti e al loro posto c’è la benda che sostituiva l’osso mancante. Nella casa non ci sono segni di effrazione. Pochi giorni dopo il professore riceve un pacco privo dell’indicazione del mittente che contiene il supporto senza la tibia. La vicenda, giunta a questo punto, sembra conclusa, non ci sono reati da perseguire. Invece c’è una coda, segnalata dall’amica che ci aveva fatto conoscere il caso. Il professore accetta l’invito a prendere parte a una seduta spiritica organizzata dal cronista della «Stampa», che ne dà conto in un servizio dell’8 giugno 1946, sei giorni dopo il referendum istituzionale che ha deciso che l’Italia diventasse una repubblica. L’ambiente è quello prevedibile in questo tipo di rituali: una sala con pareti spoglie, sedie scompagnate attorno a un grande tavolo, uno scaffale di legno grezzo gonfio di libri dedicati alle scienze occulte, un pianoforte polveroso, un’unica fonte di luce da una lampada da tavolo. Anche il medium corrisponde al modello convenzionale, un giovanotto pallido dall’aspetto febbrile, i capelli biondi e lunghi, gli occhi allucinati.
Gli invitati si sistemano attorno al tavolo, nel buio una lampada rossa manda un riverbero sul tavolo. Il medium fatica a entrare nella parte, ansima e suda. Il padrone di casa e un altro medium collocati ai suoi fianchi lo accarezzano. Il protagonista si agita, suda e con voce diventata roca, inizia a parlare, dichiarandosi disposto a rispondere alle domande dei presenti dopo averli esortati ad avere fede nelle forze occulte degli spiriti. (Pretesa superflua, non avessero avuto fede non si sarebbero trovati lì). La prima domanda è prevedibile: «Conosci la vicenda della tibia scomparsa?». Da notare la finezza: scomparsa al posto di trafugata. Anche la risposta del medium è scontata: «Nulla ignorano i trapassati». Bene, si compiacciono i presenti e insistono: «Allora spiegaci il mistero». Lo spirito evocato dal medium risponde come un amministratore di condominio chiamato a spiegare l’aumento dei costi: «Quello che è successo è ordinaria amministrazione, non c’è nulla di trascendentale, ma se rivelassi i dettagli scoppierebbe uno scandalo». Dopo una pausa sapiente aggiunge: «Non senza motivo il sogno è stato presago del vero, ma agli uomini non è dato di conoscerlo». (Possiamo fidarci di uno che usa il termine «presago»?). I presenti, visto che da quel lato non si cava un ragno dal buco, spostano il baricentro e domandano: «Lo spirito a cui appartenne la tibia è in pace nel regno dei defunti?». La risposta è tranquillizzante: «Sì. Nel passato ha sofferto per la dispersione delle sue membra ma ormai, lontano dalla materia, dopo tanti anni di vita ultraterrena, la sua veste mortale non gli interessa più». Da notare quel consolatorio «vita ultraterrena», come se i trapassati continuassero a vivere.
I presenti sono come i lettori di libri gialli, sentono il bisogno che tutti i pezzi del puzzle vadano a posto e la scena del crimine torni in ordine. Domandano: «Visto che al trapassato la sua veste mortale dopo tanti anni non gli interessa più, escludi l’ipotesi che lo scheletro sia ritornato a riprendersi il pezzo d’osso che gli apparteneva?». «La risposta ve l’ho già data, ma l’intera verità verrà un giorno alla luce». (Da quel lontano 1946 sono trascorsi 73 anni ma la verità non è ancora arrivata). Scrive il cronista della «Stampa»: ci sembrò che lo spirito evocato non tollerasse oltre la nostra presenza ed osammo un’ultima domanda: «Credi che la tibia sarà ritrovata?». «Sì», e con questa affermazione il nostro misterioso interlocutore ci fece capire che la conversazione era finita. C’era ancora una curiosità da soddisfare, i convenuti non si sarebbero alzati dalle loro sedie se non fosse stata soddisfatta. «Tu chi sei?». La risposta è demenziale: «Gioacchino Rossini». Che cosa c’entra il grande pesarese in questa storia torinese di tibie rubate e ritrovate? Invece di mandare a stendere quel medium della mutua, i presenti ammutoliscono e il cronista annota: «Ci sentimmo a disagio davanti allo spirito del grande maestro». Al medium io avrei chiesto indietro i soldi.