La Svizzera, stando a statistiche e a verifiche, a livello mondiale continua ad essere uno dei paesi in cui la corruzione è meno praticata. Questo non impedisce che imprese e manager elvetici facciano (o siano costretti a fare) all’estero ricorso a degli illeciti, come confermano le vertenze aperte in diversi Stati. E nemmeno riesce a escludere che anche da noi si verifichino illeciti legati a frodi, a sviamenti, rimborsi o ad allegre «disponibilità» di fondi pubblici affidati ad autorità, alti funzionari, manager o personaggi del mondo politico o finanziario. Proprio negli scorsi giorni nella Svizzera tedesca sono tornati a galla grossi interrogativi riguardo a spese e disponibilità assurde a disposizione di alti papaveri dell’esercito, fatti in realtà già denunciati dal «Tages Anzeiger» in piena estate e forse per questo disattesi (c’era già tutto nel titolo del giugno scorso: «Geschäftsessen, Reisen, Alkohol: ein Bericht offenbart die Selbstbedienungsmentalität im Verteidigungsdepartement», ovvero «Pranzi di lavoro, viaggi, alcol: un rapporto svela una mentalità da “servisol” al Dipartimento della difesa»). In Ticino non si può dire che manchino esempi, anche se per ora non ci sono sentenze definitive (e questo non basta a fugare una latente sensazione di degrado morale). Avevamo iniziato l’anno cavalcando il tormentone di Argo 1 – preferito per imperscrutabili motivi a quello dei permessi falsi che sembrava assai più grave e ghiotto (mediaticamente parlando, si intende) – e si è poi proseguito con un florilegio di atti parlamentari e richieste di inchieste su indennità o rimborsi considerati «troppo generosi», concordati e accordati a politici e funzionari. Ora c’è un incerto ma ufficiale «Tütt a posct», perlomeno per quel che riguarda i presunti illeciti legati ai rimborsi dei consiglieri di Stato, e si spera che valga per tutti i dubbi affiorati (e artatamente tenuti in sospeso).
Se il Ticino ha posto fine al lungo rosario, imposto dalla petulante e sempre più sguaiata richiesta di autodenunce, Ginevra è nel bel mezzo di una messa cantata. Quasi a voler fare concorrenza al clamore per il braccio di ferro con il consigliere di stato Pierre Maudet, a fine ottobre sono giunti i dettagli di un’indagine sulle spese professionali rimborsate ai municipali della città di Calvino. Gli importi decisamente declassano quelli rinfacciati ai politici ticinesi, visto che, come ha confermato il magistrato inquirente Isabelle Terrier, a fronte di un «bonus» concordato di 15’000 fr. annui, i rimborsi ai municipali ginevrini arrivavano a giustificativi superiori ai 40’000 franchi all’anno. La goccia che ha fatto capire che il bicchiere delle spese extra stava decisamente tracimando è giunta con la scoperta di rimborsi telefonici incassati dal municipale Guillaume Barazzone: a giustificare i suoi 39’000 franchi complessivi c’erano ben 17’000 fr. di spese in telefonia, quasi 1’500 fr. al mese! L’astronomica cifra ha costretto il municipale indagato a scusarsi per «errori involontari» (tra cui lo sconveniente acquisto di una bottiglia di champagne) e a mettere mano al portafoglio per rimborsare... i rimborsi. Gli impietosi ricami dei media romandi hanno toccato anche la rappresentante dei Verdi Esther Alder che ha inutilmente provato a giustificare con una battuta («Sono “verde” ma non dogmatica») gli oltre 3000 fr. di rimborsi ricevuti per tragitti in taxi. Andando oltre le cifre e l’avidità, i giornalisti hanno infine rivelato anche che gli inquirenti hanno dovuto agire in un clima estremamente difficile perché l’esecutivo si rifiutava di consegnare documenti contabili e imponeva la presenza di un avvocato agli interrogatori (anche il Municipio ha cercato di giustificarsi: tutto era dovuto al tono «inadeguato e molto duro» dei membri della Corte dei conti ginevrina).
I tre casi citati confermano l’esistenza di una crisi di fiducia generale nella gestione del denaro pubblico e nei controlli delle frodi. Certo oggi, con la forte pressione mediatica, tutti i casi assumono dimensioni assai più rilevanti rispetto al passato: prima ancora di sentenze e certezze, si crea un clima che paradossalmente da un lato amplia a dismisura dubbi e illazioni, dall’altro crea assuefazione e tolleranza verso comportamenti un tempo bollati senza remissione. Chi studia questi casi, soprattutto le implicazioni che riguardano i giochi della politica e i movimenti che stanno soppiantando i partiti tradizionali, parla di crescente «sindrome di ipocrisia» e mette in guardia sui pericoli che ne possono derivare. Infatti se a livello personale i comportamenti ambigui possono essere analizzati e curati, a livello collettivo i problemi e le implicazioni risultano molto complessi, perché l’uscita dall’ambiguità, cioè l’ammissione di errore, provoca sensi di colpa e incertezze anche in chi scopre di essere sostenitore di aspettative che si rivelano false. E questa polarizzazione delle ambiguità non ricorda, almeno un po’, il lato incomprensibile di quanto sta avvenendo in politica con populismi e sovranismi?