Il gusto vien mangiando

/ 08.10.2018
di Ovidio Biffi

Ho avvertito emozione vedendo a Lugano, sia pure fermo in una piazzetta, uno dei vecchi camion-vendita di Migros Ticino adibito a... distributore di gusti. Ben attrezzato per questo suo servizio d’eccezione, figurava tra le tantissime proposte della rassegna «Lugano città del gusto» svoltasi per una decina di giorni sulle rive del Ceresio. Altra emozione, ancor più personale, un appuntamento in apertura della rassegna con i produttori di un gin e di un’amaro della valle di Muggio, quattro giovani che si sono fatti conoscere (grazie anche all’intraprendenza vulcanica dell’avv. Nacaroglu, uno del quartetto) da Ibiza sino alle corti di Muzzano, dai bar trendy di Zurigo sino a quelli di Ginza Street a Tokio. Eh sì, le «start up» possono essere avviate anche allevando bacche e erbe medicinali o facendo gocciolare gli alambicchi. 

Come già detto erano tante, forse troppe, le iniziative della rassegna nazionale che ogni anno sceglie una città (nel 2019 si sposta a Montreux) in cui celebrare e promuovere il gusto, il senso del nutrimento che possiamo coltivare non solo degustando, ma anche imparando a scegliere i prodotti, a cucinare e a mangiare sano. L’evento, avendo tutti i crismi per essere un’attrazione della città, era atteso come richiamo turistico di fine estate, un po’ come si riesce a fare con la vendemmia in autunno. Nonostante l’eccellenza della preparazione e della promozione, l’offerta debordante deve aver frenato la partecipazione di tanti che si sono forse sentiti un po’ frastornati dalla fitta ragnatela di appuntamenti e dalla miriade di «momenti del gusto» che gli organizzatori hanno saputo inscenare. A bocce ferme, e visto l’impegno, rimane la speranza che l’esperienza diventi spunto per futuri eventi legati sempre al richiamo del gusto (proprio in contemporanea alla «kermesse» luganese a Torino Slow Food organizzava un «Terra Madre Salone del Gusto»: impensabile un gemellaggio o qualche forma di collaborazione?).

La rassegna di Lugano ha tra l’altro visto la partecipazione anche del Cardiocentro – ovviamente incentrata sull’importanza dell’alimentazione per la salute e in particolare per il cuore –, mentre al Padiglione Conza, trasformato in «Villaggio del gusto», c’era uno stand dell’Università della Svizzera Italiana. L’incontro fra il nostro ateneo e una rassegna promozionale della città, oltretutto dedicata essenzialmente a gastronomia e turismo, anche se evento «minore» rispetto ad altre iniziative, merita rilievo come ulteriore segno che la cultura può essere uno utile strumento per conferire valore aggiunto anche alle manifestazioni popolari. Ad esempio, proprio in un opuscolo dell’Usi, tra altre riflessioni sul rapporto fra cultura, cibo e arte culinaria, i visitatori trovavano una breve dissertazione dedicata alla storia del risotto incentrata sullo zafferano, «che non è solo l’elemento determinante del piatto più caratteristico della cucina tipica lombardo-ticinese, ma è anche custode di parecchie tracce della nostra identità che superano i confini e attraversano lingue, culture e religioni».  Tutto o quasi parte dal colore dello zafferano: la parola derivata infatti dall’arabo «za’faran» che significa «giallo» e che, spiega l’opuscolo dell’Usi, oltre a essere il colore del nostro risotto e a garantirne il sapore caratteristico, riesce a rievocare quasi quotidianamente «il lungo viaggio fatto di scambi e commistioni che rende difficile distinguere un “noi” da un “loro”, raccontando la sfaccettatura complessa della nostra identità».

Del resto il risotto, una delle pietanze più umili della nostra cucina, è anche una sorta di testimone di come l’arte culinaria non sia confinata ai libri di cucina o limitata alle pur preziose penne di esperti cuochi o gastronomi, ma sia un tema che ha interessato anche ricercatori culturali e scrittori. Una conferma la si trova in un libro edito da Mimesis, Destini della patria. Arti e tecniche del risotto dorato di Gianfranco Marrone, vera e propria tesi scientifica applicata alla preparazione del risotto. Coautore (con A. Giannitrapani) di un ancor più impegnativo La cucina del senso. Gusto, significazione, testualità, per «santificare» il risotto Marrone prende tre ricette classiche di Pellegrino Artusi e le fa interpretare, esaminare e commentare da un grande chef (Carlo Cracco) e da un grande gastronomo (Allan Bay che i lettori di «Azione» conoscono). In una lunga dissertazione l’autore approda poi ad argomentazioni ed a spiegazioni scientifiche di quello che definisce l’algoritmo della preparazione del risotto.

Manca ancora l’elemento culturale? Arriva con la mitica ricetta del risotto di Carlo Emilio Gadda, riportata nella versione intitolata Risotto patrio, che in avvio recita: «L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone (...) Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non an-negarlo...». Un testo che Italo Calvino annoverava fra le cose migliori dello scrittore lombardo, a conferma che cultura e cucina... si amalgamano.