Il giudice e il filone rosa

/ 15.10.2018
di Paola Peduzzi

È stato un attimo, quarantotto ore di previsioni, negoziati, dichiarazioni, dilemmi, e poi tutto si è capovolto. Il giudice Brett Kavanaugh è stato nominato alla Corte Suprema americana, dopo due settimane di discussioni e audizioni sulle sue presunte molestie sessuali a compagne di liceo, ed è diventato l’elemento unificante della destra americana, la vittima di un processo pubblico brutale e politicizzato. Fino al momento prima, le vittime erano altre: le donne che hanno denunciato Kavanaugh, in particolare una, la professoressa Ford, che è andata a testimoniare al Senato, pacata, emozionata, precisa, con il tormento di un trauma subito molti anni fa e le paure attualissime, per sé, per la propria famiglia, per la necessità di essere protetta da  minacce di morte che arrivano. La Ford è diventata il simbolo del coraggio, la sua immagine è stata proiettata sui muri di Washington, come esempio, come monito: non siete sole, c’è lei con voi.

Ma attorno alla storia tremenda della Ford se n’è creata un’altra, potentissima, che ha che fare più con il vittimismo che con la vittima, e che ha a che fare con l’estrema polarizzazione del dibattito pubblico americano (non solo americano) per cui ogni battaglia è una battaglia politica, io contro di te, rabbia contro rabbia. E così i fatti hanno smesso di avere importanza, quel che è accaduto davvero, trent’anni fa, a una festa di adolescenti con tanta birra, ha smesso di essere rilevante, le birre che il giudice Kavanaugh ama molto sono diventate disegni sulle magliette, feticcio da ostentare per dichiarare da che parte si sta. Il presidente Donald Trump ha investito su questa trasformazione e ha applicato la sua regola, quella per cui è diventato il presidente degli Stati Uniti: se loro menano, io meno più forte.

Non si indietreggia, non si mostrano debolezze, crepe, ripensamenti: si mena. Alla vigilia del voto per la conferma di Kavanaugh – non c’era la certezza, ma era nell’aria, l’inchiesta dell’Fbi aveva di fatto dato un via libera non trovando nulla sul «cattivo comportamento» del giudice – in un comizio in Minnesota, Trump ha proposto un paragone definitivo: avete visto che cosa ha fatto il senatore Al Franken (che è del Minnesota e quindi tutti lo conoscono)? È stato accusato di molestie sessuali e in un attimo se n’è andato, si è dimesso, è scomparso, non ha lottato nemmeno un po’. La decenza diventa un esempio negativo, un motivo per ridere assieme al proprio popolo delle fragilità altrui.

Come già ci è capitato di constatare in passato, ha avuto ragione Trump. I liberal continuano a dire che nulla sarà più come prima e che il caso Kavanaugh ha aumentato la mobilitazione elettorale – si vota alle midterm a inizio novembre – e che le donne, questa volta, saranno decisive. Era già accaduto nel 1992, con le accuse di molestie (erano verbali in quel caso) da parte di Anita Hill contro il giudice Clarence Thomas: lui fu confermato, ma quella tornata elettorale è passata alla storia come «l’anno delle donne», il Congresso accolse molte nuove senatrici e deputate, e furono costruiti i bagni per le donne che prima di allora non erano stati ritenuti necessari. Candidate ed elettrici: i sondaggi dicono che questo è il trend. Ma che il filone rosa possa essere decisivo ancora non è chiaro, perché il voto femminile, già durante l’elezione di Trump, era a favore dei democratici. Si convince chi è già convinto, insomma.

I repubblicani al contrario sono riusciti a capovolgere il dibattito su Kavanaugh a proprio favore, approfittando di quello che è chiamato il «Brett bump», un’accelerazione di raccolta fondi e di spirito di partito che ha messo i democratici sulla difensiva. I quali si interrogano sulla propria capacità di resistenza: questo appuntamento di metà mandato doveva essere una sanzione al trumpismo facile ed evidente e invece è maledettamente complicato. Il presidente sfrutta il momento per dipingere i democratici come il partito dell’ostruzionismo, dei trucchetti – hanno costruito ad arte l’assassinio politico di Kavanaugh, dice, e hanno pure perso, ride – mentre sventola tutti i cavalli di battaglia della destra globale, a partire da George Soros. I sondaggisti si soffermano sui seggi in bilico, proiettano, dicono che un cambiamento ci sarà, un segnale ci sarà, due anni di trumpismo non sono passati invano, né l’America è rimasta indenne, ma il timore di prendere un abbaglio è ancora enorme: in fondo anche nel 2016 pareva impossibile che Trump vincesse, contro una donna poi, e invece.