Conservo una vignetta che Giovanni Mosca aveva pubblicato su un «Corriere della Sera» di quaranta, forse cinquanta anni fa. Ritrae un impettito Dante Alighieri che passa davanti a una caverna dove un diavolo fa da guardiano e, avviandosi verso la porta dell’Inferno, pronuncia una sola parola: «Stampa». Mai avrei immaginato che un giorno quel Dante disegnato da Mosca più che la forza del quarto potere potesse richiamare il triste destino di una stampa scritta avviata verso gironi infernali. Avrete ormai capito: parlerò di giornalismo, convinto che anche il panorama editoriale di casa nostra – pur se ridotto a due quotidiani che amichevolmente si ignorano e a due domenicali che invece si graffiano – meriti attenzione, visto che non può sfuggire a capestri e tagliole che le nuove tecnologie da un decennio stanno seminando sulla via della carta stampata.
Entro in questo scenario sospinto dalle notizie di un «Corriere del Ticino» costretto a ridimensionare il suo organico per fronteggiare un incontestabile calo delle entrate pubblicitarie. Lo faccio anche, lo ammetto, con qualche preconcetto: da sempre diffido di chi si tuffa nei vasi capillari delle redazioni ed emerge dopo 40 pagine di rapporto con diagnosi e rimedi scontatissimi: arrocco di contenuti e, immancabile, restyling e immagine grafica in progress. Non che abbia dubbi sulle cause dell’improvviso stato di crisi del «Corriere»: i 7 licenziamenti e i due prepensionamenti sono riconducibili ai duri colpi che le nuove tecnologie continuano a portare alla stampa scritta e più direttamente al flusso pubblicitario. Ma sono del parere che nel giornalismo le cose sono più complicate di quello che è possibile dedurre dai conti economici o dai dati riguardanti abbonati e lettori. Lo aveva sintetizzato molto bene Luca Sofri qualche anno fa: «Per quello che riguarda i giornali, gli scenari mostrano una caotica nuvola di geniali fantasie, panico da catastrofe economica, terrore del domani e scoppiettìo continuo di nuove forme di diffusione delle informazioni. Trovarne il bandolo è divenuta questione da miliardi di dollari, ma l’approccio della ricerca del bandolo potrebbe non essere il più lungimirante: metti che non ci sia un bandolo?».
Nel dicembre scorso Richard Gingras, vicepresidente di Google News – motore di ricerca informatico etichettato come il più micidiale veleno per giornali e stampa scritta – in un’intervista al quotidiano romando «Le Temps» ha criticato la stampa scritta perché continua a sprecare energie e soldi in battaglie inutili. Gingras ha ricordato che venti anni fa a Dallas come a Losanna, si leggevano giornali per ottenere informazioni, ma anche per avere recensioni dei film, consultare gli annunci pubblicitari, trovare ricette o consigli su escursioni per la domenica ecc. Poi ha puntualizzato: «Tutto questo ora avviene in internet, su siti specializzati (…) Trovo che i media storici stiano impiegando troppo tempo per capire questi cambiamenti. Non sto dicendo che è facile. Ma gli annunci non torneranno mai più». Tra le soluzioni riuscite, il ceo di Google ha menzionato «The Daily», un podcast (files digitali con testi, video e audio facilmente scaricati e fruibili anche in condizioni di mobilità) creato dal «New York Times» e subito ascoltato da oltre un milione e mezzo di persone che viaggiano in auto, in treno o in aereo o mentre fanno jogging. È l’esempio di un nuovo prodotto giornalistico curato da una redazione della stampa scritta e «girato», grazie proprio alle moderne tecnologie, a chi ama e cerca l’approfondimento non necessariamente scritto, cioè su un giornale. Alle nostre latitudini un processo analogo l’ha compiuto Francesco Costa, vice direttore de «Il Post» (www.francescocosta.net): un pregevole podcast della Apple di sei puntate, ognuna di circa 45 minuti, sull’evoluzione socio-urbanistica della città di Milano. Non sto propagandando la via o la soluzione del futuro, ma è assai significativo che un giornale online come il «Post.it» (approda ora al paywall, dopo aver distribuito per anni e gratuitamente solo buon giornalismo) accetti di soddisfare una delle preferenze dei suoi lettori (l’approfondimento) accordando priorità all’audio, quindi «depurando» l’informazione digitale. Ritorno al piano inclinato della stampa scritta con una ricetta, interessante anche se un po’ criptica, di Jim Rutenberg, responsabile della sezione media del «New York Times» che presagisce un giornalismo capace di suddividersi in tre categorie di base: la categoria del «cosa», quella del «e quindi?», e la categoria del «e ora?». Nella categoria del «cosa» si prepara il racconto diretto degli eventi; quella del «e quindi?» propone poi ciò che risulta importante da un punto di vista giornalistico; infine, con la categoria dell’«e ora?» si racconta al lettore (o ascoltatore) dove può andare o portare la storia. Rutenberg azzarda anche una congettura, forse più chiara: le redazioni si salveranno quando smetteranno di aggrapparsi ai vecchi metodi. Coraggio, giovani colleghi.