Almeno qui, le previsioni non saranno smentite, come succede, clamorosamente, in economia, in politica o in meteorologia. Nei confronti della moda, infatti, i pronostici rimangono verosimili. Non possono che confermare una tendenza evidente e irreversibile: il vestiario ha ormai imboccato la strada maestra della comodità, della funzionalità e della praticità, allontanandosi sempre più da quella tortuosa dell’originalità, della fantasia, dell’inventiva. Già negli anni 80, Gillo Dorfles, studioso dell’estetica contemporanea e dichiarato cultore dell’eleganza, aveva captato i sintomi di un’evoluzione che, bene o male, stava cambiando il mondo. Ed erano «l’internazionalizzazione, il meticciato, l’uniformazione del vestiario femminile e maschile, l’appiattimento del gusto». Dorfles li citava, senza emanare sentenze, registrando gli effetti che avrebbero prodotto nella moda. A cui è giocoforza arrendersi.
Certo, non è stato del tutto indolore questo cambio d’obiettivo, insomma il passaggio dallo chic al confort. Ma poi è avvenuto, anche nostro malgrado. Fatto sta che a questi indumenti e a questi accessori, più comodi che eleganti, un tempo condannati dal codice del buon gusto e dei comportamenti corretti, si è finito per fare l’abitudine. Tanto da apprezzarne non soltanto i risaputi vantaggi d’ordine pratico ma, addirittura, da scoprirne pregi d’ordine estetico. Ci sono piaciuti persino i jeans, le magliette, i giubbotti, i piumini, che hanno conquistato un pubblico illimitato, reso uniforme da tenute standard. Ma, in proposito, l’indizio più rivelatore si registrava nel settore delle calzature. Qui, il successo delle sneakers, ha assunto le dimensioni di un’autentica rivoluzione mondiale. Tutti, di ogni età e stazza, sedotti dalla scarpa da tennis, in grado di restituire elasticità e agilità.
Basta sedersi su una panchina in una qualsiasi località, e osservare i piedi dei passanti. Come ha fatto, per impegno professionale, Jeoren van Rooijen, redattore della «Neue Zürcher Zeitung», giungendo alla conclusione che: «La scarpa classica di cuoio, stringata, o la scollata a tacco alto, sono praticamente scomparse dal panorama quotidiano. Sopravvivono unicamente, nelle serate di gala all’Opera».
Con ciò, parlando di comodità e di standardizzazione si rischia di banalizzare un fenomeno che sembra aver eliminato creatività e immaginazione, insomma una componente culturale e persino umana, motore indispensabile nella moda, sinonimo di cambiamenti e sorprese.
Invece, ci sono sempre, ma si manifestano in ben altre forme. Come, appunto, spiega van Rooijen, il futuro dell’abbigliamento sarà sempre più determinato da interventi scientifici e tecnologici. Si punta, non tanto sulle fogge e sui colori, quanto sulle proprietà di tessuti, capaci di svolgere funzioni utili: riscaldare o raffreddare la persona che li indossa, evaporare il sudore o, addirittura, agevolare e sostenere prestazioni lavorative e sportive. La Svizzera, nell’ambito dei cosiddetti «Smart Textiles», i tessuti intelligenti, si dimostra all’avanguardia, grazie alla collaborazione fra industria e politecnici.
In altre parole, le sorti della moda non si decidono più nelle case della «haute couture» e del «pret-à-porter», bensì nei laboratori dove si compiono ricerche avveniristiche che, però, si svolgono in quel clima di riservatezza tipico della scienza. Distanziandosi, ovviamente, dal tam-tam pubblicitario che circonda la moda, sin qui abbinata alla mondanità e al protagonismo dei «couturier» e degli stilisti. Personaggi che stanno perdendo quota sulla scala della notorietà. Negli ultimi anni, erano stati superati dall’avvento di una nuova categoria di onnipresenti: i grandi cuochi, gli chef. Certo, non è il caso di considerare chiusa la stagione dei Dior, Versace, Prada, e compagni. In pratica, però, il loro potere di persuasione e suggestione si assottiglia. La moda, come osservava John Carl Flügel, in Psicologia dell’abbigliamento, (Franco Angeli editore) è anche una questione di imitazione. Ci si veste per far parte della propria epoca, seguendo gli esempi che ci circondano.