Il caso uscito dal buio

/ 01.07.2019
di Paolo Di Stefano

Sono passati quasi vent’anni e qualcosa di nuovo emerge solo adesso, dopo un lungo viaggio nel buio. Emanuele Scieri aveva 26 anni, si era da poco laureato in Giurisprudenza: era il 21 luglio 1999 quando dalla sua città, Siracusa, si era spostato verso Firenze per il servizio militare. Aveva scelto di svolgere la leva nei paracadutisti della «Folgore». Il 13 agosto, Emanuele e i componenti dello scaglione 7/99 vengono trasferiti su due pullman da Scandicci alla Caserma Gamerra di Pisa. Durante il viaggio i caporali chiedono alle reclute di tenere la posizione cosiddetta della «sfinge»: immobili, schiena staccata dalla spalliera e mani sulle ginocchia. I finestrini devono rimanere chiusi e il riscaldamento acceso, l’ordine è di tenere il basco in testa e la sciarpa di lana avvolta al collo.

È il tipico «scherzo» dei «nonni», che si divertono a inveire sugli allievi con imposizioni assurde e violenze: il «battesimo», che consiste nel colpire le vittime con forti pugni sul torace, mentre la «comunione» è l’obbligo di bere un liquido con escrementi umani.

Dopo il pranzo nella mensa militare, verso le 15.30, l’Avvocato, come lo chiamano gli amici, alto quasi un metro e 90, simpatico, allegro ma responsabile fino alla severità, è al magazzino del casermaggio per ricevere lenzuola, coperta e cuscini da sistemare nella branda. La cena, sempre in caserma, è alle 18 e un paio d’ore dopo Scieri si trova con altri in Piazza dei Miracoli, dove per la prima volta può ammirare a bocca aperta tutta la bellezza del Battistero e della Torre di Pisa. Telefona al fratello e, come ogni sera, chiama i genitori.

Sono le 22.15 quando rientra in caserma con quattro commilitoni, si attarda a fumare una sigaretta con Stefano Viberti nel vialetto lungo il muro perimetrale della caserma, nei dintorni della torre di asciugatura dei paracadute. Pare che Emanuele abbia chiesto a Viberti di restare solo per fare una telefonata, ma si accerterà poi che dal suo cellulare non è partita nessuna chiamata. Fatto sta che Scieri, lasciato nel semibuio, non rientrerà in camerata. Che cosa è accaduto? Non si sa, o meglio qualcuno lo sa ma non lo dice. Nel contrappello delle 23.45 viene segnalata l’assenza dell’allievo, ma i superiori non se ne preoccupano e nel rapportino annotano un semplice «mancato rientro». Passa il 14 e passa la domenica di Ferragosto. I genitori si trovano nella loro villetta al Lido di Noto e un po’ si stupiscono che il figlio, così puntuale, non abbia chiamato nelle ultime due sere: dunque lo chiamano loro ma il cellulare squilla a vuoto.

Nel pomeriggio di lunedì, Corrado Scieri, funzionario doganale in pensione, sente il suono del campanello, raggiunge il cancello e trova due carabinieri: «Suo figlio Emanuele aveva dei problemi?», gli chiedono. «No, perché?». Emanuele è morto gli dicono. È stato trovato cadavere ai piedi della torre di asciugatura dei paracadute. Emanuele non aveva nessun problema, non era depresso, non prendeva psicofarmaci, ma la pista del suicidio è già segnata ancora prima che le indagini vengano avviate. Com’è possibile che siano passate tante ore prima che qualcuno avvistasse il suo corpo nella discarica sotto la scala? Com’è possibile che siano passati oltre due giorni prima che qualcuno avvertisse l’afrore emanato dal cadavere decomposto riverso in mezzo a tavoli e suppellettili in disuso? Nessuna risposta.

I vari procedimenti penali si concludono con l’archiviazione, anche se il «nonnismo» diffuso nella Gamerra è noto a tutti, così come è noto lo Zibaldone, un documento simil-poetico colmo di razzismo e di maschilismo truce redatto dal generale Enrico Celentano (voto inclassificabile), in cui sono elencate le pratiche della violenza sugli allievi ad uso dei caporali e degli ufficiali. «Mi arrendo, – dirà il procuratore (1) – del resto ci sono anche i delitti perfetti, quelli che nessuno scopre». Lo stesso Celentano (inclassificabile---) si inventa un incidente da «autononnismo», e insinua che Emanuele sia salito sulla torretta per verificare la sua tenuta fisica oppure per trovare il campo per il cellulare oppure per avvistare qualche ragazza nei paraggi. Un esaltato, un imprudente o un voyeur.

Tutto tranne che la vittima di uno «scherzo» demente. La stranezza è che Celentano stesso, senza avvertire nessuno, abbia fatto una visita speciale alla Gamerra all’alba di Ferragosto. C’è voluta una Commissione parlamentare (6) per costringere la Procura a riaprire il caso: la buona politica per una volta ha risvegliato la magistratura. E dalla nuova indagine salta fuori la telefonata di un caporale tra i più violenti della Gamerra in cui si parla di scarponi da far scomparire. Il sospetto è che siano gli scarponi premuti sulle mani di Scieri mentre gli era imposto di stare appeso all’esterno della torre dopo averla scalata con le scarpe slacciate.

Quegli scarponi, per caso, vent’anni dopo sono rinvenuti in una discarica vicino a Cerveteri. Vengono compiuti tre arresti, il corpo del povero Emanuele viene riesumato e la verità finalmente si avvicina. Papà Corrado non c’è più, ma veglia dall’alto perché giustizia sia fatta.