Le fake news non sono un prodotto spacciato solo oggi e solo dai social. In Francia hanno appena tradotto uno dei più importanti lavori sui cavalieri Templari (La Passione dei Templari), opera di una studiosa italiana, Simonetta Cerrini, allieva di Franco Cardini.
Il volume intende restituire il diritto alla difesa, di cui i Templari furono privati con determinazione e anche violenza. La loro fine fu una lenta agonia ed è ora che ci sia più attenzione per i frati cavalieri del Tempio – le loro preghiere, i racconti, le articolate difese, le denunce. La narrazione riguarda il gran maestro, seguito subito dopo dal visitatore di Francia (che sarebbe anche il visitatore d’Inghilterra e di Germania), e dai dignitari interrogati a Chinon. È così anche per le autorità civili: per Clemente V (1264-1314) l’unico riferimento è il re Filippo il Bello (1268-1314), e al più nella bolla cita conti, duchi e baroni.
Si sa che alla riduzione francese del Tempio si accompagnò la riduzione francese del Papato. Quando Clemente aprì la sua inchiesta a tutti i Paesi che ospitavano case templari, spinto dall’esigenza di riprendere le redini del processo, si dovette accorgere, troppo tardi, che Filippo non aveva creato solo una bolla finanziaria, come i suoi sudditi sapevano, ma anche una bolla volta a sostenere uno Stato totalitario al cui altare stavano per essere sacrificati i custodi del Tempio di Salomone. C’è un momento in cui il Papa interviene con forza nelle inchieste. Forse per verificare fino in fondo l’attendibilità delle deposizioni? Forse per condizionare l’esito del processo?
Qualunque sia stata la ragione, Clemente nel 1311 inviò bolle in tutta Europa per chiedere di rinnovare gli interrogatori e di moltiplicare le torture. Il timore crescente del Papa si manifesta anche a Vienne, quando imprigiona i nove templari che avevano chiesto di poter difendere il Tempio, pur essendo stato proprio lui, nel 1308, a chiedere che i dignitari templari fossero condotti alla presenza dei Padri del Concilio. L’episodio dei templari giunti a Vienne per difendere il Tempio è senz’altro minimo in sé, ma rivela un’evidenza che il papa cerca di dissimulare: malgrado i ripetuti appelli di Clemente a rinnovare gli interrogatori dei templari usando la tortura, il raccolto di confessioni di apostasia o di eresia dei templari non francesi è davvero misero.
All’inizio il Papa voleva un’inchiesta equa, e per questo aveva chiesto che i dignitari del Tempio si presentassero a Vienne per difendere l’ordine. È inoltre indubbio che l’inchiesta internazionale voluta da Clemente sia stata impostata in modo corretto e legale, a differenza di quella gestita dal re di Francia. Ma dopo le inchieste internazionali, la difesa dei templari di Francia, i roghi del 1310, e la posizione della maggioranza dei padri conciliari, Clemente deve aver intuito che il processo poteva avviarsi a un verdetto di assoluzione. La maggioranza della commissione conciliare sosteneva che non c’erano prove contro i templari e che di conseguenza non potevano essere condannati senza offendere Dio e oltraggiare la legge.
Quindi il Papa, sostenendo di mantenere un punto di vista indipendente dalle due fazioni, quella che voleva condannare subito il Tempio e quella che sosteneva di non poterlo condannare per mancanza di prove, decide di avocare a sé la decisione. Interrompe il normale procedimento giudiziario e, tramite un provvedimento, sopprime il Tempio. Ecco il cuore della bolla. Con questo indubbiamente abile e repentino cambio di piano, il pontefice non impedisce tanto che i templari siano condannati, ma impedisce che siano assolti.
Per il Papato e per la Chiesa, un verdetto di colpevolezza o di innocenza non avrebbe comportato gravi conseguenze: il Papa aveva già provveduto, in caso di colpevolezza, ad addossare tutte le responsabilità a Jacques de Molay e a Hugues de Pairaud. In caso di assoluzione, la Chiesa avrebbe avuto il merito di restituire la bona fama a un ordine ingiustamente accusato. Ma tutti sapevano che il principale accusatore era il re di Francia. In questo modo Clemente riuscì a salvare l’onorabilità del re. Il papa impedì però ai templari di essere giudicati.
Si deve rendere atto a Clemente che, se non ci fossero state le inchieste da lui volute, non sapremmo nulla di ciò che accadde ai templari di Francia durante la loro Passione. Il silenzio e l’oblio avrebbero ingoiato per sempre la conoscenza delle centinaia di templari di cui non ci è giunta la deposizione, le decine che morirono in carcere, o per le torture, o per le rigide e disumane condizioni di detenzione o per i suicidi indotti. Il Tempio si mostrò all’altezza dell’inedito compito di dover fronteggiare un nemico inatteso. Spesso caddero vittime del fuoco amico, ma la loro spiritualità, forse li aiutò ad accettare la morte e la fine dalle mani di chi chiamavano padre, il re di Francia, e madre, il Papa.