Tra una decina di giorni, una nutrita pattuglia di politici, uomini e donne, sarà chiamata a riflettere pubblicamente intorno al significato del primo agosto, il Natale della Patria. Compito non facile, va detto, a meno di ripetere il solito imparaticcio sulle origini, il giuramento, le gesta di Tell. Ragionare sul sentimento patrio senza cadere nella retorica o nei luoghi comuni è incarico che richiede impegno, giacché sul rocchetto di questa parola – la patria – confluiscono, intrecciandosi, vari fili, da quelli storici a quelli emotivi. C’è la dimensione intima e domestica, e c’è la dimensione collettiva, superiore.
La lingua tedesca distingue tra «Heimat» e «Vaterland»: il primo termine incorpora la sfera femminile, il perimetro della casa; il secondo ha invece come riferimento la terra del padre. L’italiano si rifà con «madrepatria», fondendo i generi femminile/maschile. Che cos’è la patria nell’era del sovranismo galoppante? Siamo di fronte ad una super-patria, oppure ad un’esaltazione che ricicla elementi dell’antico nazionalismo? La competizione in atto tra i partiti in vista delle elezioni d’autunno tende a restringere il campo all’iconografia d’immediata assimilazione.
Ecco allora riapparire, accanto allo scontato tripudio di bandiere rossocrociate, gli stilemi che un tempo, ma soprattutto durante gli anni 30, erano simbolo di resistenza: il «Sonderfall» con la sua democrazia diretta, la neutralità armata, figure d’identificazione nazionale come il generale Guisan. Allora il nemico era il nazi-fascismo, un’ideologia criminale impastata di razzismo e brutalità. Ma oggi chi è il nemico, qual è la minaccia che incombe sulla piccola Svizzera?
Per la destra nazional-populista è l’Unione europea, Bruxelles, Strasburgo, la Banca centrale, i poteri occulti che manovrano dietro le quinte per ridurre la Confederazione a vassallo delle grandi potenze intente a spartirsi il mondo. Si sa che il discorso politico ha bisogno di costruirsi un «altro da sé», un avversario che permetta di applicare la logica binaria dell’amico/nemico. Sul piano locale, bersagli perfetti sono i frontalieri e, a dipendenza dei moti migratori, i profughi; sul piano nazionale, gli stranieri e i paggetti di Bruxelles. L’espediente funziona sempre, porta consensi e voti, ma far rientrare i rapporti tra la Confederazione e la UE in questo schema è decisamente improprio.
Le istituzioni europee non sono quell’ombra satanica che si vorrebbe far credere; molte deficienze politiche – tra cui quella riguardante la gestione dei migranti – sono imputabili ai singoli Stati e alle loro discordie, non genericamente all’Unione. Comunque è curioso notare come molti argomenti tuttora presenti sulla scena politica siano maturati già cent’anni or sono. Nel 1919 prese avvio un acceso dibattito sulla collocazione della Svizzera nel concerto delle nazioni all’indomani della Grande Guerra.
Agli occhi dei Consiglieri federali più influenti (Gustave Ador, Felix Calonder, Giuseppe Motta) era tempo di rivedere il principio della neutralità assoluta per adattarlo alle nuove circostanze, in particolare agli auspici del presidente americano Wilson, il quale, nei suoi famosi quattordici punti, aveva suggerito la costituzione di un’assemblea generale, detta Società delle Nazioni, che fosse in grado di impedire nuove guerre. L’adesione alla SdN fu infine sancita dal popolo dopo una lunga discussione il 20 maggio 1920, ma la decisione restituì un paese spaccato: 56,3 sì contro 43,7 no, e una maggioranza dei cantoni sul filo del rasoio. Allora il Ticino, trainato da Motta, non ebbe esitazioni, con quasi l’85% dei consensi.
L’avvicinamento all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nate nel secondo dopoguerra, fu invece molto più laborioso. La Svizzera rimase in sala d’attesa fino al 2002. Anche questa volta la proposta d’ingresso non convinse una larga parte dei votanti, e questa volta c’erano anche le donne: 54,6 sì contro 45,4 no. Nel frattempo il Ticino aveva abbandonato i cugini romandi per schierarsi con i cantoni conservatori.
Ora l’euroscettico si dichiara sovranista, fiero delle proprie radici e delle proprie tradizioni. È un suo diritto, ma non dovrebbe dimenticare che l’intento della SdN prima e dell’ONU poi non era quello di ordire complotti anti-elvetici, ma di favorire accordi di pace tra paesi che in precedenza avevano conosciuto soltanto la legge delle armi. Anche questo è patriottismo. Un sentimento che fa del soccorso umanitario il cuore del suo agire.
Diceva Mazzini: «I primi vostri Doveri, primi almeno per importanza, sono, com’io vi dissi, verso l’Umanità. Siete uomini prima d’essere cittadini o padri. […] La Patria è il punto d’appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a vantaggio comune. Perdendo quel punto d’appoggio, noi corriamo rischio di riuscire inutili alla Patria e all’Umanità». Pensieri sui doveri dell’uomo. Correva l’anno 1860.