I social sono il nuovo cortile

/ 26.11.2018
di Maria Bettetini

Definizioni di amore, nella storia della filosofia, se ne trovano tantissime: mancanza che origina il desiderio, pienezza di felicità, compenetrazione degli spiriti, passione, sentimento, assolutezza. Non ho trovato invece una definizione di odio. Forse non l’ho cercata abbastanza, forse non è argomento per filosofi. Nelle pagine di Brunetto Latini, invece, leggo che l’odio è «ira invecchiata». Il notaio, politico, scrittore, vissuto a Firenze nel tredicesimo secolo, ha una geniale intuizione: l’odio è il sentimento che ci porta ad aggredire qualcuno, ma non nella sua esplosione, piuttosto nel suo sedimentarsi, con tutto quello che di negativo comporta l’aggettivo «vecchio», ossia polveroso, stantio, ammuffito, sgradevole. Perché questa attenzione a un termine così brutto come l’odio? Perché se ne parla tanto, in particolare a proposito della vita sui social media. Sembra che la grande partecipazione di giovani e non giovani a Facebook, Instagram e altri meno noti mezzi di comunicazione via internet, abbia portato a una incontenibile diffusione di parole di odio. Alcune vittime vengono prese di mira, bollate come «diverse» e distrutte da un anonimo, violento linciaggio.

Pare che proprio questo anonimato favorisca lo scatenarsi delle belve che si nascondono nelle persone «normali», in particolare nelle donne. Dicono i sociologi che di persona la donna si farebbe più problemi dell’uomo, di solito, a colpire e aggredire, sia perché si sentirebbe più debole, sia per timore di perdere e quindi di fare brutta figura, sia per una maggiore empatia con la vittima, ebbene, invece il fatto di poter agire non viste libererebbe le energie negative. Se ne può fare una questione di colore della pelle, di religione, di politica, di grassezza o magrezza, o semplicemente di invidia. Lo spiega bene un contemporaneo di Brunetto Latini, il poeta che nella Divina Commedia non dedica spazio all’odio, ma all’ira e all’invidia sì. Nell’Inferno non sono puniti coloro che odiano, l’attenzione di Dante Alighieri va soprattutto ai fraudolenti, che occupano la maggior parte dei gironi, ai violenti (che possono essere anche tiranni o mercenari, quindi non necessariamente spinti dall’odio, o solo dall’odio), in maniera più blanda a lussuriosi, accidiosi e così via. Nel Purgatorio, invece, dove a ogni balza del monte corrisponde uno dei sette vizi capitali, sono puniti iracondi e invidiosi. Questi ultimi hanno gli occhi chiusi da fil di ferro, perché non possano vedere la bellezza del mondo e le sue cose buone, secondo la classica definizione di invidia come dispiacere per il bene altrui. L’invidia è quindi la forma più meschina di relazionarsi, è permettere al cuore e alla mente di farsi prendere dal dolore perché altri hanno qualcosa. Magari di mai desiderato, che però si nota in quanto possesso altrui, senza considerare che necessariamente non potremmo mai avere tutto, per quel nostro banale essere finiti: se siamo biondi non siamo neri, per esempio. L’invidia è tipica poi dei posti piccoli, dei paesini, dei cortili. Luoghi in cui ci si scruta, si tagliano i panni addosso, si fanno i conti in tasca. Forse proprio questo piccolo sentimento è alla radice dell’odio in rete: si vuole punire chi si suppone possa aspettarsi qualcosa di positivo, dalla sua arte, dalla sua bellezza, o semplicemente dall’essere uscito vivo da un’attraversata del mare su un barcone.

Mi piace poi pensare che anche la misoginia, diffusissima sui social, spesso con toni beceri, anche l’odio per le donne in fondo derivi dall’invidia per alcune di noi, che spesso sono belle, brave, intelligenti, insomma troppo. Vengono prese di mira le cantanti, le politiche, le imprenditrici. Si insulta Emma perché è stata malata di cancro, la Boldrini perché è stata presidente della Camera e ha difeso i migranti (per carità, non è che gli uomini si salvino, ho appena saputo che viene preso in giro il judoka Fabio Basile, medaglia d’oro olimpica, ventitré anni di potenza e bellezza, perché ha una cicatrice sulla tempia che viene scambiata per alopecia: di nuovo si pensa di colpire chi ha una malattia, la stupidità non ha limiti). Certo, queste donne poi denunciano, anche perché sono ascoltate dai giornali e dai giornalisti (si maltrattano anche i giornalisti, comunque), e poi, dando esempio, denunciano anche penalmente. Ben peggio è invece l’attività dei bulli nelle scuole (negli asili!), nei gruppi di ragazzini, fragili e quindi più violenti contro i più fragili. E questa rete che doveva cambiarci in meglio la vita, rendere possibile a tutti la libera espressione, ci ha portato, per ora, a rendere tutto il mondo un cortile. Ma non è detta l’ultima parola, perché si possono fare delle leggi, come da qualche mese in Germania, si possono educare i ragazzini, si può anche ricordare che tante volte la storia ha capovolto le organizzazioni umane, gli imperi, le sorti luminose e progressive, che spesso seguono vie per noi inimmaginabili.