I semi di bene dell’OTAF

/ 16.01.2017
di Ovidio Biffi

Marco Canonico, redattore responsabile, mi ha puntualmente fatto avere il numero in uscita della rivista «Semi di bene». È quello del 95.mo anno e per presentarlo, soprattutto alle nuove generazioni, occorre premettere che la rivista è forse la più longeva del Ticino e, di sicuro, anche la più discreta. La discrezione, del resto, da sempre caratterizza l’attività della rivista: diffondere il pensiero e lo scopo dell’Opera Ticinese per l’Assistenza della Fanciullezza e informare sulle attività e sulla missione dell’Otaf stessa, l’istituzione di assistenza che da 100 anni ha sede in uno dei più bei indirizzi del nostro Cantone: via Collina d’Oro, a Sorengo. Premetto che mi soffermerò sui «Semi» più che sul secolo «di bene» dell’Otaf. Non basterebbe una pagina intera a ripercorrere l’istoriato di questa fondazione, come fa il nuovo numero della rivista ricordando tappe e cambiamenti con il presidente (avv. Pier Mario Creazzo) e il direttore (Roberto Roncoroni) e illustrando le nuove strutture portate a compimento negli ultimi tempi: dal quartiere Otaf sorto sull’antico sedime dell’Ospizio per Bambini Gracili di Sorengo – dove su mandato dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali Mario Botta e altri architetti hanno realizzato la funzionale e diffusa sede centrale – sino alla mirata serie di residenze per ospiti minorenni e adulti decentralizzate sparse nel Luganese e a Locarno.

Intendo privilegiare la rivista perché la trovo ideale per esporre una mia particolare tesi: sono convinto che ogni movimento, attivo in campo sociale o politico, incapace di alimentare e distribuire una propria fonte informativa, sia destinato a scomparire. L’esempio più lampante lo hanno dato i partiti politici ticinesi: persi – per i costi elevati, ma non solo – i propri organi di stampa («Il Dovere» per il Plr, il «Popolo e Libertà» per il Ppd e «Libera Stampa» per il Ps) i partiti di maggioranza sono entrati in crisi con le rispettive basi e dopo tanti anni si accorgono che adottare mezzi di comunicazione «mirati» è servito a poco. A mio avviso, se oggi a dominare la scena politica in Ticino c’è la Lega, è anche per queste incaute scelte. Al contrario dei «vecchi» partiti il fondatore della Lega aveva intuito l’importanza di un giornale proprio e della necessità di mantenere attivo, a tutti i costi, il filo diretto con i propri sostenitori. Tanti obiettano: ma i giornali avrebbero svenato comunque i partiti. Forse. Ma nell’ipotetico «conto perdite e profitti», prima di chiudere i giornali, i partiti hanno tutti dimenticato di inserire il valore di quanto avrebbero perso: senza informazione diretta con la base sarebbe stato per loro sempre più difficile capire e superare tutte le altre crisi.

Trovo una indiretta conferma di questa mia convinzione nelle parole usate dal dir. Roncoroni dell’Otaf per spiegare la breve sospensione delle pubblicazioni di «Semi di bene» nel corso del 1993: «La situazione della stampa scritta nel Canton Ticino (…) non è per niente rosea (…) coinvolge non solo i maggiori quotidiani ma anche le piccole riviste come la nostra. Di fronte alle difficoltà non bisogna comunque scoraggiarsi, ma affrontarle con atteggiamento positivo, costruttivo e soprattutto innovativo». Un anno di pausa e la rivista si reinventa e, aiutata anche dal Dipartimento della Pubblica educazione (quando si dice il caso: nelle persone di Sergio Caratti e Giancarlo Dillena, poi diventati direttori del «Corriere del Ticino»), riesce a riattivare il «fil rouge» con la sua base, quello curato dall’avvio e per tanti anni dalla straordinaria signorina Cora Carloni.

Ma c’è anche un debito personale a spingermi a privilegiare «Semi di bene»: la rivista è stata la mia prima palestra di letture. Anni Cinquanta, appena iniziate le elementari, l’avevo scoperta a scuola, attratto dalla copertina con un disegno che recava le iniziali P.C. L’autore era il pittore Pietro Chiesa, compaesano che vedevo soprattutto d’estate, in giro nei prati di Sagno, con il suo cavalletto su cui posava quadri che noi bambini vedevamo nascere prima con il nero del disegno del soggetto o del paesaggio, poi con i colori che lui carpiva dalla tavolozza con i pennelli e li trasferiva sulla tela. La sua bambina creata per l’Otaf, accosciata per far cadere dalla mano i semi nel terreno, dopo 95 anni compare ancora sulla copertina della rivista: un’ottima creazione grafica ne incastona il profilo nel bianco della grande S della testata, con la mano tesa che dal 1921 simboleggia ciò che i fondatori intendevano garantire alle persone nel bisogno e ai bambini meno fortunati. Emblema dello sviluppo e della continuità della missione dell’Otaf, «Semi di bene» dopo quasi un secolo continua a essere accolta con riconoscenza e ammirazione da tanti ticinesi che così conoscono o ricordano i semi dispensati in un secolo dall’Opera di Sorengo.