Ogni tanto i commentatori della nostra congiuntura escono dalla routine che caratterizza i loro rapporti trimestrali per occuparsi di qualche problema collaterale che sollecita il loro interesse. Così recentemente uno degli istituti di ricerca economica che va per la maggiore si è chiesto perché, nel corso degli ultimi anni, si è manifestata una divergenza tra il tasso di crescita dell’economia e quello con il quale sono aumentati i salari. Mentre il prodotto interno lordo è cresciuto a un tasso superiore alla media degli ultimi due decenni, i salari non si sono praticamente mossi: anzi in diversi casi sono diminuiti. Se andiamo a cercare dati, per cercare di informarci meglio, non troviamo molto.
La statistica dei salari che, è bene ricordarlo, nei tempi moderni è quella che, con il censimento della popolazione e l’indice dei prezzi al consumo, ha fatto nascere gli uffici di statistica pubblici, è sempre stata considerata come un documento da trattare con grande discrezione. Prima di essere preparata dall’Ufficio federale di statistica, la statistica dei salari veniva elaborata dalla Seco. Per tanti anni la Seco non pubblicò dati sul livello salariale ma solo sulle variazioni del salario, da un anno all’altro. Una volta che, per caso, ebbi l’occasione di pranzare con il responsabile di allora di questa statistica gli chiesi il perché di tanta discrezione. Mi spiegò che fino all’inizio degli anni Cinquanta dello scorso secolo la Seco pubblicava anche dati per i livelli salariali. Ma poi era stata avvertita, dalla Germania, che i sindacati tedeschi, in mancanza di dati sulla loro economia, si servivano della statistica svizzera per giustificare le loro richieste di aumento dei salari. E allora Berna aveva pensato che era meglio pubblicare solo il dato concernente la variazione annuale e non i livelli.
Ma torniamo al quesito che si sono posti i ricercatori. Perché dunque i salari non sono saliti, in modo parallelo alla crescita del Pil, in un periodo di buona congiuntura come è stato quello degli ultimi anni (2015 escluso)? Rispondendo a questa domanda i ricercatori indicano tre possibili ragioni. In primo luogo il fatto che i salari vengono negoziati solo una volta all’anno e quindi possono riflettere solo con ritardo l’evoluzione della congiuntura. La seconda ragione è rappresentata dalla relativa inflessibilità dei salari verso il basso. Quando la congiuntura rallenta o, addirittura, l’economia conosce una recessione i salari non vengono ridotti. Di conseguenza i profitti si riducono. Quando la congiuntura riprende si osserva che, quasi per compensazione, sono i profitti ad aumentare più rapidamente dei salari. Infine i ricercatori osservano che il potere d’acquisto (ossia il salario reale) può, in seguito alle variazioni del franco sul mercato delle divise, ma anche per effetto del rincaro o della diminuzione dei prezzi, muoversi in modo diverso dal salario nominale e, per esempio, aumentare anche quando il salario nominale ristagna. Queste tre ipotesi attendono naturalmente di essere verificate. A nostro modesto avviso la prima non dovrebbe essere molto importante. Anche i sindacati si sono dotati oggi di unità che sanno analizzare l’andamento e le previsioni congiunturali. Nell’anno in cui la congiuntura cambia, dall’espansione alla recessione, o viceversa, è possibile che la negoziazione salariale sia in ritardo rispetto all’andamento congiunturale. Ma solo in quell’anno.
Un ritardo dei salari che continua a manifestarsi e, magari, cresce con il tempo deve essere spiegato piuttosto con modifiche nella distribuzione, come fa per l’appunto l’argomento che oppone l’evoluzione dei salari a quella dei profitti. Anche l’evoluzione del rapporto tra salario reale e salario nominale può, in un periodo di inflazione bassa come l’attuale, servire a spiegare il perché del ritardo dei salari anche se, personalmente, non reputiamo che il potere d’acquisto sia, negli ultimi anni, cresciuto più rapidamente del salario nominale. Infine crediamo che, a questi argomenti, andrebbe però aggiunto anche l’effetto frenante sui salari dovuto alla presenza di una sempre abbondante domanda di lavoro.