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I propositi di suicidio degli adolescenti

/ 13.03.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile signora Silvia,
leggo sempre la sua rubrica perché vi trovo fatti e riflessioni che mi interessano. Ma questa volta, prima di leggere, sono io a scriverle. Siamo una famiglia media, con due genitori impiegati e due figli, il primogenito, Luciano, che fa la prima liceo, e un fratello di dieci. Durante la loro infanzia non abbiamo avuto problemi. Tutti e due sono cresciuti bene, sani, sereni. Solo ultimamente a Luciano è stato diagnosticato un diabete autoimmune di tipo 1, cioè congenito. Il fratello invece sta benone. Quando è stata fatta questa diagnosi, un anno fa, ci è caduto il mondo addosso. Tanto più che il medico curante ci ha tenuto a specificare, dinanzi al bambino, che la malattia non era guaribile, che l’avrebbe dovuta gestire per tutta la vita, una vita diversa da quella degli altri. In un primo momento il ragazzino ha reagito rimuovendo la questione, e solo recentemente, da quando le cure si sono intensificate, sembra aver preso atto del problema. Si chiede come mai questa disgrazia sia capitata solo a lui.
Ciò nonostante Luciano è bravo a scuola, è popolare tra i compagni, va in piscina, gioca a calcio e scia. Solo ogni tanto lo vediamo chiudersi in se stesso, assentarsi con la mente. L’altro giorno, dopo essersi fratturato il mignolo mentre giocava a calcio, in un momento di umor nero, ha esclamato, di fronte alle mie rassicurazioni: «lasciami perdere, non me ne va bene una, meglio che mi butti giù dalla finestra!!». Da allora non ho più pace, avrei l’impulso di controllarlo a vista ma, se gli stiamo addosso s’incupisce ancora di più. Cosa possiamo fare? / Una mamma in pena

Un figlio adolescente costituisce sempre un problema per i genitori perché non è facile uscire da un’infanzia protetta e felice per entrare nei travagli del mondo in prima persona, assumendosi progressivamente la responsabilità della propria vita. Tanto più nella nostra epoca, quando il percorso di crescita non è più tracciato dalla tradizione. La vostra famiglia poi, inutile negarlo, sta affrontando una difficoltà in più, quella di una malattia cronica. Il medico, parlando con il ragazzo, ha fatto male a definirla incurabile perché la speranza non si toglie mai a nessuno, tanto meno a una persona giovanissima. In tutti i campi la medicina sta compiendo passi da gigante.

Vi consiglio pertanto di chiedere al medico di famiglia di rassicurare Luciano, non per illuderlo, ma per metterlo di fronte alla verità: che in tutto il mondo si stanno facendo grandi ricerche sulle malattie autoimmuni e che si prevedono, a medio termine, nuove scoperte. Ma, oltre a considerare la particolare condizione di salute di vostro figlio, tenete presente che, intorno ai 16 anni, uno sviluppo ormonale particolarmente tumultuoso turba frequentemente l’equilibrio emotivo dei ragazzi, per cui gli stati d’animo cambiano rapidamente e il pensiero tende a ragionare in modo assoluto, oscillando tra il sempre e il mai, il tutto e il niente. Basta spesso una piccola frustrazione, come un brutto voto, l’esclusione da una gara sportiva, lo sgarbo di un amico, l’indifferenza di una ragazza, per gettarli nello sconforto.

In questo periodo poi la notizia, divulgata dai mass-media con grande clamore, del suicidio di un ragazzo che, in Liguria, si è gettato dalla finestra al sopraggiungere di due agenti chiamati dalla madre perché lo dissuadessero dal fumare spinelli, ha infiammato la fantasia di molti coetanei, sempre pronti all’emulazione. Non a caso ho ricevuto altre domande di aiuto di fronte a propositi di suicidio formulati dai figli, soprattutto alla madre. Non al papà, si noti, ma alla mamma perché più fragile emotivamente e più ricattabile affettivamente. Che cosa voleva ottenere Luciano ostentando quella minaccia? Probabilmente di essere lasciato in pace, di non subire interrogatori sui motivi di oscuri malumori che, forse, non conosce neppure lui. Sappiamo che, nella maggior parte dei casi, chi si suicida veramente, prima non ne parla affatto ma pone i familiari di fronte al fatto compiuto. Luciano invece, dando voce ai suoi fantasmi, li sta elaborando, razionalizzando. Cercando di renderli pensabili e dicibili, intende metterli in comune e, come vado ripetendo: «noi comprendiamo solo ciò che siamo in grado di condividere».

Cambiando punto di vista, la dichiarazione di Luciano può essere letta come una domanda di aiuto, di sostegno, di conforto. Il modo migliore di reagire potrebbe essere allora, evitando di aggiungere la vostra paura alla sua, di rivolgersi alla parte forte, resistente, orgogliosa del ragazzo, dicendogli qualche cosa del genere: «la vita è la tua ma è troppo preziosa per sprecarla. Ti attendono anni molto importanti in cui potrai raccogliere tutto quello che hai seminato studiando, impegnandoti, diventando adulto. Noi ci faremo man mano da parte ma su di noi potrai sempre contare». Purtroppo non ci sono formule magiche per esorcizzare i rischi del vivere. Ma un programma di alta protezione non serve a garantire i ragazzi dai pericoli e dagli errori. Saranno la vostra fiducia e il vostro esempio a convincere Luciano che ce la può fare, che ce la farà, perché ne vale la pena.