Solo ai sedicenni? Bisognerebbe dare il voto ai tredicenni. Perché a giudicare da certi adulti i tredicenni sono ben più maturi. Più maturi dei loro padri e delle loro madri. Diamo il voto ai tredicenni e togliamo il voto ai loro genitori e ai loro nonni che, per dirne una (ma solo una delle tante), hanno rovinato il pianeta e l’hanno consegnato distrutto, malato, moribondo ai loro figli e ai loro nipoti. Togliamo la patente ai cinquantenni: l’altra mattina ne ho visto uno che stava seduto sul suo Suv acceso, fermo a un parcheggio, a guardare il cellulare. Avrei avuto voglia di dirgli di spegnere il motore ma mi è mancato il coraggio di bussare al finestrino, l’ho solo guardato un po’ storto passando.
È vero che ci sono dodicenni che se ne fregano della luce accesa in corridoio, ma è anche vero che ci sono quarantenni che buttano la cicca dal finestrino dell’auto in corsa. E comunque tra i tredicenni che, magari ingenuamente, vanno a manifestare con Greta e i cinquantenni che stanno a casa a criticarli, preferisco i primi (voto d’aria 5+). Diamo il voto (d’aria e non d’aria) ai dodicenni e riduciamo l’impatto elettorale dei loro genitori, visto che molti di questi, a quanto pare, sono analfabeti di ritorno: cioè, anche se hanno studiato, hanno disimparato a leggere e a scrivere, non aprono mai un libro, non sanno cosa sia un giornale. E spesso non si rendono conto di quel che dicono.
Un esempio? Claudio Lotito, imprenditore e presidente della Lazio, ha commentato alcuni provvedimenti della Federazione calcio sui cori razzisti negli stadi dicendo che quando lui era giovane i «buuuuu» erano rivolti anche alle «persone di non colore, che avevano la pelle normale, bianca e non di colore» (1). Pelle normale? Di non colore? Anche Lotito è una persona di non colore, dunque: buuuuuu! Dovrebbe sapere che se i cori razzisti imperversano negli stadi italiani, la colpa è dei club che avrebbero la possibilità di individuare i tifosi-bestia di non colore e di bandirli dagli stadi (ma non lo fanno: 2!). E anche gli arbitri hanno la loro responsabilità: potrebbero interrompere le partite ma lo fanno molto raramente (2½).
Sono temi che si ripropongono periodicamente e a cui non si trova soluzione: uno dei sette peccati capitali del giornalismo attuale, hanno scritto di recente Maximilian Probst e Daniel Pelletier sulla rivista letteraria austriaca «Wespennest», è il falso dibattito. Lo dicevano a proposito del clima, ma vale un po’ per tutto. Per esempio sul razzismo, sulla pelle normale, cioè di non colore, e su quella non normale, cioè di colore. Tutto va (falsamente) dibattuto. Altro dibattito ciclico (arriva sempre, puntuale, ad apertura di scuole), in Italia, è il seguente: è giusto rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche? «Deve rimanere», dice oggi, dirà domani, ha detto l’anno scorso, disse vent’anni fa qualcuno, perché «è la nostra identità», «è la nostra tradizione cristiana», «è il simbolo della nostra cultura». «Non deve rimanere», dice, dirà, ha detto, disse qualcun altro, perché «nega la nostra laicità», «discrimina le altre religioni», «è contro la Costituzione», «è segno di chiusura»…
Ci sono giornali che hanno aperto il sondaggio on line: crocifisso sì o crocifisso no? Pensare che duemila anni fa un sondaggio (di Pilato) condannò Gesù alla crocifissione e oggi un sondaggio (quanti pilati digitali!) vorrebbe decidere ancora la sua sorte, ha qualcosa di beffardo (1½ all’iniziativa). Comunque, vince il sì sui giornali cattolici e sui giornali di destra e il no sui giornali di sinistra. Il nì nei giornali non schierati né a destra né a sinistra. Dunque? «Il crocifisso può attendere», ha dichiarato il ministro dell’Istruzione dopo aver sollevato la questione proponendo imprudentemente di sostituire la croce con un mappamondo. I terrapiattisti, però, si oppongono fieramente e al mappamondo preferirebbero una cartina (rigorosamente piatta), ma la cartina (piatta) discrimina gli altri popoli, perché metterebbe al centro l’Europa, mentre il Vecchio continente è al centro sì, ma solo per noi, essendo periferico per i giapponesi, per i cinesi e per i mongoli.
Allora, come se ne esce? Non se ne esce. Mattia Feltri, che sulla «Stampa» tiene una rubrica quotidiana in prima pagina («Buongiorno», 5½ meritato), la scorsa settimana chiudeva un suo articolo sul tema scottante del crocifisso ricordando che la «meravigliosa» Natalia Ginzburg nello scorso millennio concludeva un articolo sullo stesso tema scottante dicendo che in tutto il fracasso di accese e scottanti discussioni sul crocifisso sì o no che cosa faceva il crocefisso? «Il crocefisso sta lì e tace», scriveva. E tace ancora oggi, povero Gesù Cristo. Ma il suo silenzio, nel fracasso generale, il silenzio di buonsenso diventa arma contundente rivoluzionaria. Quello stesso silenzio che Carola Rackete (vi ricordate la comandante di SeaWatch?) ha sbattuto in faccia a chi le chiedeva che cosa direbbe a Salvini se se lo trovasse davanti: «Niente», ha risposto, «non voglio rispondere alle parole di Salvini» (6).