I padri tatuati e moderni

/ 23.09.2019
di Paolo Di Stefano

Poveri padri, sempre sotto i riflettori. I romanzi sui padri si moltiplicano: tra i più belli degli ultimi anni, In tutto c’è stata bellezza (Guanda 5½) dello scrittore e poeta spagnolo Manuel Vilas e Un’Odissea di Daniel Mendelsohn (Einaudi 5½). Un poco prima, erano usciti quello di Michele Mari, Leggenda privata (Einaudi 5+) e quello di Richard Ford, Tra loro (Feltrinelli 5+). Vi si narrano storie variamente dedicate all’incapacità, o almeno alla difficoltà, di essere padri. Sono padri violenti, cialtroni, svitati, banali, fissati, bizzarri, incomprensibili, a volte sorprendenti. «Mia madre era infinita», scrive Vilas: era passata dall’adorare suo marito all’adorare i figli, dall’adorare i figli all’adorare i nipoti. Suo padre, invece, non aveva mai adorato nessuno, non aveva mai raccontato nulla a suo figlio, mai nulla che durasse più di un minuto, non gli ha mai detto «ti voglio bene». Scrive Mari: «Se la madre non lo difendeva, si formava talvolta nella mente del figlio la delirante intenzione di difenderla lui, come si evince da una fotografia scattata dal padre: autentico scudo umano, il figlio si frappone con uno sguardo che dice: “Dovrai passare sul mio cadavere”». Nel suo romanzo autobiografico, giocoso e tragico, c’è un padre il cui carattere «si colloca all’intersezione di Mosè con John Huston, e una madre costretta a darti il bacino della buonanotte di nascosto». 

Ford racconta di un padre che è morto di infarto tra le sue braccia quando lui aveva 16 anni: «Ma non passa un’ora, ogni giorno, senza che io non pensi a mio padre, a qualcosa che lo riguarda… Ci sono uomini che hanno con sé i propri padri per tutta la vita, crescono e diventano uomini nell’orbita dei loro padri, sotto il loro sguardo. Mio padre non ha avuto l’occasione di vivere quest’esperienza. Posso immaginare una vita di quel tipo, ma solo immaginarla. Il romanziere Michael Ondaatje ha scritto, su suo padre, che “… sono stato privato della possibilità di parlargli da adulto”». I padri sono problematici quando ci sono e anche quando sono assenti: spesso i padri sono più problematici dei figli prima che i figli diventino padri, a loro volta problematici. Inutile stare a ricordare Leopardi e Kafka. O Rousseau, che abbandonò i suoi cinque figli nella ruota dei trovatelli. 

I padri di oggi evitano come la peste il rischio di apparire problematici come i loro padri. E per questo sforzo innaturale diventano diversamente problematici. È stato un bel botta e risposta quello apparso recentemente sul «Foglio». Annalena Benini vs. Sandro Veronesi. Tutti e due (voto 5) avevano ragione e torto. Benini è una bravissima giornalista e scrittrice, sensibile ai nuovi riti familiari: nella cronaca di una giornata al mare, sorride dei «padri moderni e perfetti» di oggi, quei padri confusi e pieni di tatuaggi che chiamano amore la loro bambina, quei padri che ballano e cantano per la figlioletta e che in spiaggia le tolgono la sabbia dal naso: quei padri che vanno a comperare il succo di frutta per il ragazzino di nove anni, i padri che si preoccupano che il bimbo non prenda troppo sole e lo coprono di crema solare. 

E le madri? Le madri intanto sono comodamente sdraiate a chattare. È una cronaca caricaturale ma neanche troppo. Sandro Veronesi è il grande narratore che tutti conosciamo (Caos calmo è il suo romanzo più famoso, 5+). È vero, scrive, esistono davvero quei «padri tatuati e moderni»: «Ovviamente, sono anche ridicoli, a volte addirittura patetici. Molti, quelli più giovani, innestano questa loro esibizione su una incongrua, a quel punto, estetica hipster, fatta di barba curata, fisico asciutto, occhiali da sole, orecchini e, per l’appunto, tatuaggi aggressivi: e così carrozzati li vedi gonfiare canotti, cambiare pannolini, trascinare grappoli di bambini eccitati». 

Pensando al suo padre novecentesco che ha molto amato, Veronesi si dice: «che enorme passo avanti per l’umanità» questi padri che si prendono cura dei loro figlioletti mentre la madre sta sdraiata a smanettare sul suo telefonino. Suo padre, «uomo giusto, solido e pieno di passioni», non si è mai dedicato al benessere spicciolo del piccolo, ai suoi bisogni stupidi, ai suoi capricci: «Per quello c’era solo mia madre». La conclusione di Veronesi è: «tatuati, moderni, perfetti, ridicoli, sì – ma anche benedetti». Benedetti? Benedetti e maledetti. Se il padre truce e tatuato vuole a tutti i costi sostituire la madre (spesso anche lei moderna e tatuata), chi sostituisce il padre perduto? Meglio i padri avulsi e autoritari di una volta o quelli svenevoli e patetici di adesso? Ne è passato di tempo da quando Simone de Beauvoir scriveva: «Capita a volte che il padre si occupi della prole – un fenomeno abbastanza frequente tra i pesci». Ma ne è passato di tempo anche da quando Gabriel García Márquez osservava che un uomo sa quando sta diventando vecchio perché comincia ad assomigliare a suo padre. Pensava all’autorità. Oggi si potrebbe dire che un uomo sente di diventare vecchio quando comincia a essere ridicolo come suo padre… (Leggere Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri su questi argomenti è sempre utile, 6).