Sulle prime, Lugano appare una città senza storia, lucida ma inanimata; una città rifatta. Non è così, naturalmente. Ma per scovare le tracce del suo substrato storico e architettonico bisogna rallentare il passo e scostare le tendine della sua modernità bancaria. Il sedimento più rilevante è senz’altro quello risorgimentale. Dopo la partenza dei balivi e la formazione del cantone (1798-1803), il borgo del Ceresio visse come fosse causa propria il moto d’indipendenza degli Stati italiani. Sul filo dei decenni nelle case luganesi trovò rifugio e conforto una folla di patrioti in contrasto con il regno del Lombardo-Veneto retto dalla casa d’Austria. A questo slancio corale e febbrile parteciparono anche i fratelli Ciani, Giacomo e Filippo, che a Lugano giunsero alla fine del 1832, non più giovani, dopo aver soggiornato, con occhi attenti alle novità d’impresa e del credito, a Ginevra, Parigi, Londra e in altri centri industriali del vecchio continente.
E qui s’innesta un’altra vicenda, che affonda le sue radici nel Seicento, secolo in cui i Ciani lasciarono il loro villaggio natale di Lottigna, in valle di Blenio, per cercare lavoro sulla piazza di Milano. Già con il bisnonno Giacomo, attivo come mercante ed imprenditore, la famiglia aveva dato addio alle attività esercitate per tradizione dai migranti bleniesi: non più venditori di caldarroste, o semplici mansioni di facchinaggio, ma commercio di maioliche e di sete, compravendita di immobili e di masserie, per allargarsi infine, con il padre dei nostri, Carlo, all’attività creditizia. Insomma, una famiglia che fece fortuna e che già nell’ultimo quarto del Settecento poteva dirsi fiera dei risultati raggiunti: l’agio economico, l’ascesa sociale, l’integrazione nell’alta società milanese, la presenza nei palchi d’onore alle manifestazioni culturali e teatrali.
Dal matrimonio di Carlo con Maria Teresa Zacconi nacquero dodici figli, quattro maschi e otto femmine; quest’ultime andarono in sposa ad avvocati, notai, negozianti, banchieri, coniugando – è il caso di dirlo – strategie nuziali e strategie imprenditoriali. Il terzogenito Gaetano, insignito del titolo di barone, rimase nel capoluogo lombardo, mentre il minore dei quattro maschi, Alessandro, perse la vita in duello.
Quando Giacomo e Filippo decisero di lasciare il regno del Lombardo-Veneto perché considerati antiaustriaci e sovversivi («liberali fanatici»), la piccola repubblica ticinese muoveva ancora i primi passi dentro un gran numero di cantieri: amministrazione, ordinamento giuridico, asili e scuole, rete viaria, bonifiche, sistema carcerario. A questa multiforme opera di progresso e d’incivilimento dei costumi, i due Ciani rimpatriati contribuirono fattivamente, sia con mezzi finanziari, sia con progetti sociali ed educativi mutuati dalle loro peregrinazioni europee. Furono inoltre al centro di una fitta rete di relazioni, che comprendeva personalità come il Franscini (aiutato nella pubblicazione degli scritti), Cattaneo, Battaglini e altri esponenti del movimento liberale e democratico. Come nessun altro seppero mobilitare e incanalare le loro ricchezze verso sbocchi utili a tutta la collettività: una borghesia illuminata che si vorrebbe vedere all’opera ancora oggi.
Questi percorsi biografici, calati nel loro tempo, sono ora ripercorribili in una mostra e in un pregevole volume edito dall’Archivio storico della città, cono saggi di Stefano Levati, Stefania Bianchi, Massimiliano Ferri, Pietro Montorfani, Antonio Gili e Riccardo Bergossi per la parte relativa alla struttura architettonica della villa. Una lezione di storia ma anche un invito allo stesso municipio, che troppo spesso ha sottovalutato – e sottoutilizzato – questo diadema di pietre e piante, la dimora e il suo parco, un complesso mutilato delle sue scuderie, purtroppo assediato e quasi soffocato dal Palacongressi, uno dei grandi abbagli della Lugano burbanzosa degli anni Settanta. Proprio le certosine ricerche condotte in quest’occasione dovrebbero riaccendere nelle autorità e nella cittadinanza la fiamma della curiosità, unita all’esigenza di una maggior cura per un patrimonio unico ma fragile, che mal sopporta le sguaiataggini di frequentatori ignari del suo passato: un patrimonio che è all’origine della stessa Repubblica e Stato del canton Ticino.