«Lei è in arresto», dissero a Igor due uomini in giacca e cravatta. Era il 1976, sulla spiaggia di Odessa, Unione Sovietica, Igor era appena uscito dall’acqua, si rivestì di fretta con il costume bagnato addosso, fu portato su un’auto e poi in una stanza per un interrogatorio, prima fradicio poi ghiacciato. «Lo colpì il fatto che questi due funzionari del Kgb avessero fatto tutto di proposito, maestri dell’umiliazione facile, del piccolo sopruso gratuito», scrive Peter Pomerantsev nel suo ultimo libro, This is not propaganda: Igor era suo padre, era un giornalista televisivo, uno scrittore e un poeta, quel giorno fu arrestato perché faceva conoscere la «pericolosa letteratura anti sovietica», Solgenitsin o Nabokov.
Minacciarono di mandarlo sette anni in prigione e cinque in esilio, e lui decise infine di lasciare l’Ucraina, di lasciare l’Unione Sovietica, si trasferì assieme alla famiglia – Peter aveva un anno – prima a Berlino ovest e poi a Londra. Quarant’anni dopo, scrive oggi il figlio, «il mondo che mio padre sognava, quello in cui la censura sarebbe finalmente finita, sembra più vicino: viviamo in una stagione che gli accademici definiscono “dell’abbondanza informativa”». Ma tutte queste notizie, questo flusso ininterrotto di immagini e analisi e commenti, oggi non sembrano aver portato maggiore libertà, «contavamo su un dibattito più informato, invece sembriamo sempre meno capaci di prendere decisioni».
This is not propaganda è l’ultimo libro di Pomerantsev, che nel 2015 ha pubblicato Nothing is true and everything is possible (tradotto in italiano da Minimumfax), un racconto della Russia di oggi, dove la verità è diventata «una questione soggettiva» e la manipolazione dell’informazione la normalità.
Nel suo ultimo saggio, l’autore continua il suo viaggio, c’è ancora la Russia e c’è ancora l’Ucraina, ma con Pomerantsev che ci stringe la mano si gira il mondo, dal Messico alle Filippine, con qualche tappa in Europa, nel Regno Unito della Brexit fantasiosa (dove vive Pomerantsev) e in Austria, dove si svolge uno degli incontri più significativi, quello con Martin Sellner. Sellner è considerato un ideologo di destra, è stato spesso citato come una voce cosiddetta populista, anche se i suoi argomenti e i suoi toni sono molto più in là rispetto alla retorica della destra tradizionale, in quell’estremo xenofobo e reazionario dal sapore (storicamente) acidissimo in cui ormai si colloca buona parte della politica ex conservatrice.
Ironia vuole che Sellner abbia imparato metodi e astuzie da Srdja Popovic, l’attivista serbo che nel 2000 contribuì alla deposizione di Slobodan Milosevic e che ancora oggi si batte in molti paesi a difesa della democrazia (anche Popovic è intervistato nel libro): non c’è bisogno di pensarla allo stesso modo, è il metodo qui che fa la differenza. E anche i regimi stanno cercando di copiare questo modello: Popovic racconta che un giorno una troupe di una tv russa legata al Cremlino ha cercato di entrare nel suo studio a Belgrado, una porticina che si trova tra una pasticceria e un parrucchiere. «Stanno cercando di copiare il mio messaggio, anche se non sono alleati cercano di replicare il mio modello – dice Popovic – E sai qual è la cosa divertente? Che non mi sono mai occupato di Russia!».
Nel suo viaggio Pomerantsev ritorna spesso all’arresto di suo padre e alla lotta di suo padre: partendo da quella ferita che ha condizionato la sua famiglia e la sua vita, vuole provare a capire e spiegare come si è passati dalla battaglia contro la censura alla manipolazione odierna: «Il linguaggio che usiamo, le condivisioni, i like vengono tutti studiati e passati ai pubblicitari o agli spin doctor che si rivolgono a noi con campagne estremamente personalizzate di cui spesso non sappiamo nemmeno l’esistenza. Più ci esprimiamo, meno potere abbiamo». È questa la grande differenza rispetto al XX secolo, ed è in questo modo che l’abbondanza di informazione diventa un’arma in mano ai leader autocratici, che costruiscono quella che Pomerantsev definisce «la normalità surrogata», un mondo costruito su misura, anzi: manipolato su misura.
La dissidenza oggi sta nel ribellarsi a questa realtà surrogata, e sorprendentemente Pomerantsev dice che la disinformazione non si combatte con una nuova censura ma chiedendo più informazione: le fonti, gli account da cui ci arrivano determinati suggerimenti, sono questi gli agenti che formano il nostro mondo e che decidono com’è fatta la nostra realtà. Ed è da qui che dovrà partire il prossimo viaggio: sarà sulla nostra nuova dissidenza.