I censimenti possono essere pericolosi

/ 11.02.2019
di Bruno Gambarotta

Ci lamentiamo per la lentezza nelle procedure degli uffici pubblici. La notifica di una multa per una sosta vietata commessa il 2 novembre dell’anno scorso mi è arrivata il 17 gennaio e non ho potuto fare altro che pagare, non essendo in grado di ricostruire i miei movimenti in quel lontano giorno. C’è stato un tempo in cui l’amministrazione del nostro Comune si muoveva rapida e implacabile come il fulmine. Una magnifica occasione per dare prova della sua perspicacia e del suo zelo le venne offerta su un piatto d’argento dalle leggi razziali del 1938. Arriva l’ordine di realizzare il censimento degli ebrei di Torino e gli impiegati, colpo di genio, iniziano dalle scuole. Vogliono «l’elenco degli alunni che durante l’anno scolastico 1937-38 hanno chiesto l’esonero dalla religione».

Con la firma del Concordato nel 1929 il Cattolicesimo era diventato in Italia religione di Stato e obbligatoria la frequenza all’ora di religione. Abbiamo la sollecita risposta del Regio Liceo Ginnasio Vittorio Alfieri, protocollata il 23 agosto 1938. Sono 50 nomi, per 15 dei quali «non si conosce a quale religione appartengano», uno è classificato apolide, un altro protestante. Dai nomi dei 33 allievi classificati ebrei è uno scherzo risalire alle famiglie e includerle nel censimento. Eccoli, dalla A di Avigdor alla S di Segre. Finita la guerra qualcuno ha tentato di giustificare tanto zelo: «da qualche parte dovevamo pur cominciare».

Questo documento insieme a tanti altri è consultabile nella Mostra sul censimento degli Ebrei di Torino allestita presso l’Archivio Storico della città. Queste carte dall’apparenza modesta, a leggerle con attenzione, raccontano una storia di feroce discriminazione. Un altro capitolo della mostra riguarda la precettazione a scopo di lavoro obbligatorio. «Visto che questi ebrei non sono sotto le armi che almeno si rendano utili sgomberando le macerie delle case bombardate», omettendo di specificare che non combattevano perché in quanto ebrei erano stati espulsi dall’esercito. Il provvedimento riguardava uomini e donne nell’età dai 18 ai 55 anni, ma a Torino a essere precettati furono solo uomini, 130 in tutto.

Il Podestà si lamenta e fa il punto con una relazione indirizzata a Sua Eccellenza il Prefetto Presidente del Consiglio Provinciale delle Corporazioni, in data 12 marzo 1943. È un testo illuminante sulla reale situazione: «Gli ebrei precettati per essere adibiti a lavori manuali presso il Municipio di Torino furono 123. Tale numero si ridusse subito a 118 in quanto un ebreo venne dichiarato non di razza ebraica (sic!), tre erano emigrati in altre province anteriormente alla data di precettazione e uno fu riconosciuto precettato per errore. Successivamente furono esonerati dalla precettazione un laureato in medicina e chirurgia e 5 ebrei che erano tenuti per legge al mantenimento di prole non considerata di razza ebraica avuta dalla libera unione con ariane». (Se ne deduce che se la prole fosse nata da una donna ebrea non avrebbe avuto diritto al mantenimento).

Proseguiamo nella lettura: «Sui 110 ebrei rimasti ben 70 furono riconosciuti in prosieguo di tempo non idonei ai lavori cui erano destinati. (…) Sta di fatto che attualmente si può contare su una presenza giornaliera di una trentina di persone, in quanto l’Ufficiale sanitario sovente deve concedere licenze per malattia di alcuni giorni. (…) Si osserva che tutti indistintamente gli ebrei precettati prestarono opera di scarso rendimento, e ciò, principalmente a causa delle loro condizioni fisiche e non o scarsamente idonee a lavori manuali. Infatti i suddetti, anteriormente alla precettazione, non prestavano la loro opera in lavori manuali». Esposte nella mostra si trovano motivate richieste al Podestà, come la seguente, datata 10 dicembre 1942 – XXI: «Il sottoscritto, precettato di razza ebraica, Gallico Raffaele di Guido, abitante in via dei Mille N.26, Torino, avendo avuto, durante l’incursione verificatasi nella notte dall’8 al 9/12, colpita la propria abitazione e conseguentemente resa inabitabile, si permette chiedere alla S.V. Ill.ma un permesso di 5 giorni, onde provvedere alla sistemazione della famiglia. (…) Saluti fascisti».

La sorveglianza era ferrea, lo si deduce dai provvedimenti disciplinari: «A sensi dell’art. 97 del regolamento generale per il personale è stata inflitta la multa di L.10 ai sottoelencati ebrei di servizio al Magazzino legna con la seguente motivazione: «Nel pomeriggio del 6 corr. mese interrompevano arbitrariamente il lavoro»: Algranti Sergio, Berga Ugo, Colombo Giuseppe, Levi Enzo». I documenti cartacei frutto dell’ordinaria e quotidiana amministrazione dicono molto di più delle reboanti affermazioni di principio e ci ricordano, come non si stancava di ripetere Primo Levi, che nessuno può garantire che quei tempi non ritornino. Non possiamo sapere dove può concludersi un’impresa iniziata con un ordinario e burocratico «censimento».