Identità, Territorio, Cultura, questo è il titolo dell’ultimo numero dei «Quaderni grigionitaliani» pubblicato sotto la direzione di Jean-Jacques Marchand, italianista dell’università di Losanna, specialista del pensiero di Machiavelli approdato nel 2006 alla testa del trimestrale. Anche il primo quaderno del 2017 (marzo) non manca di attirare la curiosità di chi grigionese non è, ma segue quanto vibra in quest’area alpina, periferica ma non statica, divisa al suo interno, bifronte e strabica, con uno occhio a sud e l’altro e nord. «Nel serto dell’Elvezia/ci sono quattro vallate,/ da Dio furon create/coi monti della Rezia…»: così inizia la celebre canzone composta su versi di Leonardo Bertossa, l’inno entrato nel folclore popolare. Ma collocare nella ghirlanda confederale le quattro vallate (Calanca, Mesolcina, Bregaglia, Poschiavo) è impresa tutt’altro che scontata, come si evince dai contributi della sezione curata da Paolo Parachini. Perché due confinano con il Ticino e due con l’Italia; perché c’è unità linguistica ma non unità religiosa; perché le influenze alle quali sono esposte sono diverse (Bellinzona o l’Engadina, oppure ancora Tirano o Chiavenna).
A giudizio di molti il Grigioni italiano è una costruzione anomala, nata piegando e torcendo le leggi della geografia. Sulle prime, infatti, appare innaturale che il Moesano appartenga al cantone dei Grigioni e non al Ticino, come l’orografia vorrebbe. Ma come giustamente osserva Marco Marcacci nel suo contributo, lo stesso Ticino può considerarsi il frutto di un paradosso, spiegabile solo risalendo al basso Medioevo e agli albori del Rinascimento. La Confederazione stessa è più un prodotto della storia che della morfologia. Gratta gratta, ogni spicchio di terra nasconde un suo tratto specifico, un suo percorso nel tempo, fatto di memorie sedimentate, di ricordi mai del tutto abrasi dall’incedere degli anni. Siamo un paese di minoranze, ricorda giustamente Flavio Zanetti; non è monolitica nemmeno la maggioranza, quella svizzero-tedesca; anche qui la talpa della storia ha scavato i suoi cunicoli, come rivelano puntualmente le mappe del voto.
L’identità grigionitaliana è quindi forzatamente inquieta ed oscillante. Ma questa instabilità è soltanto apparente; anzi, da questo substrato scaturisce la capacità di resistere alle pressioni esterne che vorrebbero livellarla e assorbirla. Questo spiega il vigoroso spirito comunitario che ancora anima la vita delle quattro valli, l’attaccamento alle istituzioni comunali (la ben nota «autonomia»), la fedeltà alle tradizioni locali e al dialetto in tutte le fasce di età.
Non siamo comunque, nemmeno qui, in presenza di un idillio atemporale. Il rullo compressore della modernità non ha risparmiato lo spazio retico, come ognun vede percorrendo le sue strade. Di questo si occupa un’altra sezione del quaderno, curata da Mathias Picenoni, e dedicata ai «non-luoghi» del Grigioni italiano. «Non-lieux», termine coniato nel 1992 dall’etnologo francese Marc Augé con l’intento di dare un nome agli spazi intermedi o interstiziali («Zwischenorte» in tedesco) lasciati sul territorio dall’attività edilizia come stazioni di servizio, motel, empori standardizzati, sale d’aspetto… Luoghi, insomma, di passaggio, anonimi, senz’arte né parte, intercambiabili. Corridoi di solitudine. Non-luoghi sono diventati per esempio Campocologno, alla frontiera con la Valtellina, e Castasegna, allo sbocco della Bregaglia: villaggi soffocati dal traffico di transito e perciò svuotati pian piano della loro anima, fatta di osterie, negozi, piazze, ritrovi pubblici.
Destino ineluttabile? Non sempre. A volte basta una circonvallazione per ridare speranza ad un borgo, come a Castasegna; oppure una galleria, come a Roveredo, ora alle prese con una «ricucitura» che non sarà semplicemente un ritorno alla trama insediativa precedente, ma una riconfigurazione dell’intero abitato. Poi, certo, non tutti i non-luoghi sono squallidi e ostili ad ogni tentativo di recupero sul piano estetico o funzionale; talune possono rinascere come nicchie di iniziative originali.
Già qualche anno fa, «Coscienza svizzera» aveva proposto di riesaminare la nozione di «Svizzera italiana» attraverso uno sguardo che tenesse insieme le due angolazioni, quella ticinese e quella grigionitaliana. Operazione né facile né ovvia, come anche questo quaderno edito dalla Pro Grigioni italiano dimostra. Perché le divisioni sono anche interne, corrono e scavano solchi da una valle all’altra, riportando alla superficie filigrane sociali e culturali che un occhio non allenato nemmeno percepisce.