Dal 2002 in misura limitata e dal 2007 in modo completo è stata introdotta in Svizzera la libera circolazione della manodopera proveniente dai paesi dell’Ue. Accolta dapprima come la riforma che avrebbe consentito il rilancio dell’economia, dopo la lunga fase di stagnazione degli anni Novanta, la libera circolazione, con il crescere e degli effettivi e della proporzione di lavoratori stranieri nel totale degli occupati, è andata perdendo sempre più appoggio sia nella popolazione, sia nel parlamento. E questo nonostante tutte le ricerche sugli effetti economici del fenomeno concludessero sempre che la libera circolazione favoriva la crescita, non influenzava in alcun modo la disoccupazione e non era probabilmente responsabile nemmeno della stagnazione dei salari.
In Ticino «libera circolazione» significa soprattutto libero afflusso di lavoratori frontalieri ed è sui frontalieri e i loro effetti sull’economia che si è concentrata, da noi, molta parte della discussione sugli effetti della libera circolazione. I risultati delle ricerche a livello nazionale sono sempre stati accolti, in Ticino, con grande scetticismo. I ticinesi (con il loro governo in testa) sostenevano e sostengono che questi risultati non valgono per le zone di frontiera perché le stesse sono maggiormente esposte alla concorrenza che i frontalieri esercitano sul mercato del lavoro locale. Si rilevava inoltre che l’aumento dell’effettivo di lavoratori frontalieri non solo provocava un forte aumento dei costi sociali dovuti al traffico, ma induceva un fenomeno di sostituzione di manodopera e conteneva l’aumento dei salari nell’edilizia, nell’industria e nei servizi.
Che questi effetti non risultassero statisticamente significativi nelle ricerche empiriche fatte sin qui lo si doveva, secondo i critici di questi studi, al fatto che le stesse consideravano gli effetti per l’insieme della Svizzera e non tenevano conto del fatto che le regioni di frontiera vivevano una realtà diversa. Ora disponiamo finalmente di un primo studio sugli effetti della libera circolazione nelle zone di frontiera. Lo ha pubblicato qualche settimana fa il KOF, l’Istituto di ricerche economiche del Politecnico di Zurigo e riguarda il periodo 2002-2007 ossia il periodo nel quale le zone di frontiera, che potevano far capo liberamente ai frontalieri, erano avvantaggiate sulle altre regioni del paese nelle quali la libera circolazione era ancora limitata. Detto altrimenti, nel periodo 2002-2007, le regioni di frontiera hanno goduto di un vantaggio localizzativo particolare, un po’ come nella seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo quando l’immigrazione dei lavoratori era contingentata ad eccezione dei flussi di frontalieri. Stando allo studio del KOF il fatto di poter ricorrere liberamente ai frontalieri ha, fino al 2007, fatto crescere l’effettivo di aziende localizzate nelle zone di frontiera più rapidamente che nel resto del paese. Di conseguenza sono aumentati più rapidamente anche gli effettivi di lavoratori occupati e il fatturato delle aziende alla frontiera.
Secondo gli studiosi del KOF sono tre le ragioni che spiegano questa evoluzione. Due sono legate alla libera circolazione dei frontalieri. Stando alla prima di queste spiegazioni, la libera circolazione ha permesso alle aziende delle zone di frontiera di soddisfare la loro domanda di manodopera meglio di quanto non potessero fare prima del 2002. La seconda sostiene che la libera circolazione dei frontalieri ha fatto affluire nelle zone di frontiera aziende che avevano bisogno di lavoratori con le qualifiche di cui dispongono i frontalieri. Infine lo studio del KOF dimostra che le aziende delle zone di frontiera sono diventate più innovative, dopo il 2002.
Lo studio si ferma, per la ragione che abbiamo già evocato, al 2007. In quell’anno i frontalieri in Ticino erano solo 40’000. Sarebbe stato interessante sapere se, una volta terminato il vantaggio localizzativo di cui si è detto più sopra, l’ulteriore aumento dei frontalieri abbia continuato a produrre gli effetti positivi appena ricordati. È probabile che sia stato così, altrimenti non si spiegherebbe come il Ticino, dal 2009 a oggi, abbia sempre avuto tassi di crescita del Pil uguali o superiori a quello medio nazionale.