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Fuggire dalla famiglia

/ 23.10.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Care lettrici e cari lettori, ricevo una lettera così lunga che è impossibile pubblicarla per intero, ma talmente vivace e vera che è impossibile ignorarla. Non so chi l’invia perché non è firmata ma si capisce che si tratta di una nonna che cerca di comprendere e di accettare il fatto che la figlia ha deciso a un certo punto di rompere i contatti con lei e, di conseguenza, con l’unico nipote.

La chiameremo Anna, un nome che, nella sua brevità, ci comprende tutte.
Anna racconta che tanti anni fa anche lei aveva abbandonato la mamma quando, diciannovenne, era uscita di casa senza sapere dove sarebbe andata, con un’unica determinazione: «ora faccio quello che voglio». Si considerava una bambina maltrattata e si sfogava scrivendo sul diario: «se lei mi picchia ancora una volta le metto il veleno nel caffè: la ooodiooo questa strega!» e prosegue: «devo dire però che le cose belle non le scrivevo perché erano piuttosto noiose… La lettura dell’Inferno di Dante è più interessante di quella del Paradiso!».

Con questi ricordi Anna si rivela per quello che è tuttora: una persona intelligente e spiritosa, capace di mettersi in gioco. Dopo il primo matrimonio e la nascita dei figli Anna, diventata più matura, si riaccosterà alla madre, che morirà ultracentenaria.

«Ora che sono arrivata a un’età avanzata, osserva Anna, mi chiedo perché oggi tanti fuggono la famiglia, rompono col passato, tagliano le radici per scegliere altro, proprio oggi quando da bambini hanno avuto delle infanzie piene di attenzione, cura, stimoli e giocattoli e, inoltre, non sono più educati con cinghiate, botte e sberle come una volta».

Evidentemente la domanda non è astratta ma sgorga da una ferita aperta: la rottura con una figlia che è sempre stata ribelle se, a vent’anni, non voleva andare a trovare gli zii dicendo: «la mia famiglia sono i miei amici» e si rifiutava di chiamare «mamma» la mamma.

Ciò nonostante, quando la figlia si sposa e mette al mondo un figlio, Anna si occupa per tre anni del nipotino che le viene affidato una o due volte la settimana. A questo punto la lettera procede con la descrizione di una scena, un vero e proprio copione teatrale, che rivela, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto siano futili i motivi che provocano le più gravi rotture. L’offesa si concentra su un’esclamazione («Oh, hé, lazy cat! Avresti anche potuto aiutarmi!»), che Anna pronuncia nei confronti dell’atteggiamento sprezzante assunto dalla figlia mentre lei, china sull’asfalto, si affanna a raccogliere i cocci di un vasetto di marmellata inavvertitamente infranto.

Invano, la sera stessa, Anna le chiederà scusa per quell’esclamazione; la risposta della figlia sarà: «mi ha fatto riflettere ciò che è avvenuto alla stazione, non voglio più contatto».

Da quel momento sarà rottura completa è più nessun rapporto col nipotino.

Come ho già avuto modo di osservare, quando le relazioni s’interrompono in modo del tutto casuale significa che chi prende l’iniziativa del distacco non ne conosce le ragioni, non sa perché agisce in quel modo, né riesce a interrogarsi sulle sue responsabilità. Piuttosto di mettersi in causa, attiva allora un meccanismo proiettivo che riversa sull’altro l’aggressività inconscia, irrazionale, non controllabile, che ha dentro di sé.

Di riflesso, la persona odiata diventa un persecutore da cui è legittimo difendersi in ogni modo. Spesso, cercando di riequilibrare la situazione, chi rompe con uno dei suoi referenti affettivi si riavvicina a un altro. In questo caso la figlia che non sopporta più la madre riallaccia, dopo molti anni, i contatti col padre che, nel frattempo, ha costruito una nuova famiglia. Come vedete, le vicende familiari hanno radici lunghe che, inviando alle generazioni precedenti, ci invitano a ricostruire, per quanto possibile, la storia che abbiamo alle spalle ma che ancora ci coinvolge.

Credo che Anna si sia rassegnata alla rottura con la figlia proprio rivivendo la sua rottura con la madre. Sentiamo infatti quanto consiglia a chi si trovi nelle sue condizioni:
1) la preghiera che Dio (qualunque sia) protegga il mio nipotino da una mamma immatura.
2) adottare un atteggiamento fatalista: cambiare le cose quando possibile, accettarle quando non lo è.
3) ascoltare l’astrologia quando ci dice che siamo tutti diversi ma per certi aspetti uguali.
4) ammettere la dipendenza: ciascuno ha bisogno degli altri.
5) Infine buon senso, umorismo e gratitudine per quanto ci è dato (figlia difficile compresa).

Con un sorriso, Anna si accomiata salutandoci.
E noi, da parte nostra, ricambiamo il saluto cercando di fare buon uso dei suoi consigli, tanto più validi in quanto provengono dall’esperienza e, come sono solita ricordare: la vita s’impara solo vivendo. Grazie Anna, alla prossima.