Questa settimana, per la prima volta, Elizabeth Warren risulta in testa nei sondaggi per le primarie del Partito democratico per la corsa presidenziale americana del 2020. La senatrice del Massachussetts, terrore di Wall Street e della Silicon Valley, approfitta per lo più della crisi dei suoi principali avversari: Joe Biden, l’ex vicepresidente che finora era il favorito, è al centro del caso politico che ha convinto i democratici ad avviarsi sulla strada dell’impeachement contro Donald Trump. Il presidente americano ha contattato un leader straniero – dell’Ucraina – per ottenere materiale compromettente su Biden e su suo figlio Hunter e così, incastrato nella lotta istituzional-politica tra la Casa Bianca e il Congresso, Biden si è ritrovato schiacciato dalle accuse di corruzione e favoreggiamento.
Si tratta di accuse senza prove, ma sappiamo come funziona la propaganda: Biden si deve difendere, e in questa postura – sulla difensiva, appunto – piace meno agli elettori democratici. Il temporaneo stallo dell’altro avversario della Warren, Bernie Sanders, è di tutt’altra natura: il senatore del Vermont ha avuto un malore, è stato ricoverato e operato al cuore, e nel frattempo è morta sua nuora (di 46 anni, per un tumore). Sanders ha interrotto la campagna elettorale e ora che riparte dice che il suo approccio sarà differente, ma molti sostengono che il problema dell’ex candidato-idolo del 2016 sia un altro, e non è temporaneo: ha perso il fuoco che aveva allora, e forse non lo trova più.
Che questo sia un passaggio momentaneo o un punto di svolta, la Warren ha intenzione di goderselo. Nell’ultimo trimestre, ha raccolto 24,6 milioni di dollari di contributi, ben di più dei 15 e rotti di Biden, e poco meno dei 25,3 di Sanders, che è considerato la macchina da soldi di questa prima fase della contesa. La Warren evita le grandi cene per raccogliere fondi e invece si butta tra la gente, secondo quel modello imposto da Barack Obama e applicato anche da Sanders che favorisce tanti e piccoli contributi e diventa mobilitazione. Sono ormai diventate famose le file per i selfie che lo staff della Warren organizza a ogni incontro: lei si fa fotografare, poi condivide i selfie sui social, così ognuno si sente considerato e importante. La rivoluzione «una faccia alla volta», dice la sua portavoce. C’è da dire anche che le grandi aziende non sono molto fiduciose nei confronti della Warren che ha impostato la sua carriera politica sulla lotta ai grandi accentramenti di finanze e di potere.
Wall Street fa trapelare di continuo la sua diffidenza, arrivando anche a dire che, in caso di scontro tra la Warren e Trump, finirebbe per sostenere quest’ultimo. La Silicon Valley è ancora più agitata: è stata resa pubblica una conversazione privata di Mark Zuckerberg, patron di Facebook, in cui dice che l’ascesa della Warren è una grande preoccupazione (lei ha risposto per le rime: la preoccupazione è il ruolo di Facebook nel business delle fake news, non io). Gli imprenditori della Valley cercano di avvicinarsi alla senatrice, provano a organizzare incontri ma per ora lei si nega, e loro si innervosiscono ancora di più.
La Warren si nutre di questa ostilità: è per lei la migliore dimostrazione del fatto che una sua presidenza sarebbe davvero dalla parte e in difesa del popolo. E infatti l’ala più radicale del Partito democratico si sta avvicinando a lei: se si guardano le interazioni sui social, il corteggiamento reciproco è piuttosto evidente, anche se non ci sono endorsement ufficiali nei confronti della senatrice. Lo scontro interno ai democratici non è risolto: nemmeno l’impeachment, che pure ha riportato una certa unità, può condurre a una ricomposizione. E Biden, che guida il fronte dei moderati, non si dà per vinto: la battaglia delle primarie si giocherà soprattutto al sud, dove ci sono gli Stati considerati più centristi e dove il voto afroamericano è rilevante.
La prossima battaglia della Warren è proprio convincere questa parte dell’elettorato, anche se per il momento la senatrice è ancora alle prese con la sua biografia: dopo la querelle sulle sue origini indiane – che le è guadagnato il soprannome trumpiano «Pocahontas» – ora c’è quella sul lavoro perso quando era giovane e incinta. All’inizio aveva raccontato di aver lasciato il lavoro spontaneamente, oggi dice che invece non aveva avuto scelta: il suo capo le «aveva mostrato la porta» quando la sua pancia era diventata visibile. Ancora non è certo come sia andata per davvero.