La diffusione della digitalizzazione, nel campo dell’informatica e dell’elettronica come pure nel campo delle telecomunicazioni ha trasformato molte attività lavorative e ha fatto perdere molti posti di lavoro specialmente nei servizi faccia a faccia come lo sportello bancario, la cassa del supermercato, l’accoglienza in albergo, e così via. Nei prossimi dieci anni questa tendenza si estenderà anche ad altri servizi con l’introduzione in particolare di robot programmati per assistere pazienti, consumatori e lavoratori. Di conseguenza c’è chi si interroga sull’effetto complessivo della trasformazione digitale del mondo del lavoro. Recentemente il Kof, istituto di ricerche economiche del Politecnico di Zurigo, ha reso noto i risultati di un suo studio sull’impatto della digitalizzazione sin qui che contiene risultati interessanti. Dallo stesso si apprende infatti che gli effetti sull’occupazione dipendono dal tipo di tecnologia digitale. In altre parole ci sono applicazioni della digitalizzazione che fanno aumentare l’occupazione e applicazioni, invece, che non hanno nessuna influenza sull’evoluzione della stessa.
L’approccio adottato dai ricercatori del Kof per verificare l’effetto occupazionale della digitalizzazione non potrebbe essere più semplice. Hanno chiesto alle aziende partecipanti all’inchiesta quanto avessero investito nel digitale e come fosse evoluta l’occupazione nel corso degli ultimi anni. Hanno così potuto stabilire che centomila franchi investiti nel digitale avevano creato 5,8 nuovi posti di lavoro per lavoratori altamente qualificati ed eliminato 2,3 posti di lavoro per lavoratori poco qualificati. Il bilancio dell’effetto della digitalizzazione sull’occupazione è dunque in complesso positivo sia dal profilo quantitativo, sia da quello qualitativo. Ma, come si è già ricordato, esso varia secondo il tipo di tecnologia digitale nella quale si sono effettuati gli investimenti. Per essere più espliciti investimenti in tecnologie come i robot, le fotocopiatrici in tre dimensioni o l’internet delle cose (che permette di mettere in rete oggetti fisici, per esempio un complesso di macchine e farli collaborare) influiscono in modo maggiormente positivo sull’occupazione che tecnologie come le reti sociali, l’e-commerce o i processi CRM (processi di gestione delle relazioni con i clienti).
Questo risultato dello studio del Kof ci lascia un po’ perplessi. Esso infatti indicherebbe che l’effetto positivo sull’occupazione dell’adozione di processi digitalizzati sarebbe particolarmente positivo nei casi in cui le tecnologie digitali rafforzano la possibilità delle macchine di accedere a dati, di calcolare o di informarsi, ossia, secondo noi, nei casi in cui l’effetto di sostituzione di manodopera è, in via di principio, maggiore. Se gli effetti della digitalizzazione sull’occupazione sono questi, sembrerebbe che la digitalizzazione debba di fatto ottenere un aumento della domanda di lavoro attraverso una crescita significativa del fatturato.
Purtroppo possiamo formulare questa conclusione solo in forma ipotetica perché nello studio del Kof non si è approfondita l’analisi del processo di trasmissione degli effetti della digitalizzazione sulla domanda di lavoro. Quello che invece comincia a trasparire in modo chiaro da studi di questo tipo è che la digitalizzazione dei processi produttivi genererà vincitori e perdenti sul mercato del lavoro. A guadagnarci dovrebbero essere i lavoratori e lavoratrici altamente qualificati. I perdenti saranno invece i lavoratori e le lavoratrici mediamente o poco qualificati. Alcuni dei problemi di cui soffre il mercato del lavoro svizzero come la carenza di manodopera altamente qualificata, la necessità di dover ricorre all’immigrazione di manodopera altamente qualificata, il continuo allargarsi della forbice tra i salari dei manager e quelli della manodopera meno qualificata, rischiano così di aggravarsi in futuro. È possibile che la digitalizzazione dei processi produttivi non crei disoccupazione supplementare. Ma è altrettanto possibile che, per effetto di questa trasformazione, diverse delle tensioni esistenti oggi sul nostro mercato del lavoro continuino a prodursi e, addirittura, ad aggravarsi.