«Io sono il dannato, procuratore della nequizia infernale», io chiedo «che il genere umano sia citato in giudizio». Il diavolo allega l’atto di procura, di cui il giudice verifica la correttezza formale. E il processo ha inizio. Non stiamo leggendo un capitolo inedito del Faust, nemmeno un’appendice alla Commedia. Abbiamo invece per le mani un testo di grande interesse, molto ben introdotto e in parte reso in traduzione dalla storica del diritto Beatrice Pasciuta. Il titolo è Processus Satane (con la e finale, perché il latino del XIV secolo non era precisamente ciceroniano, lo scrivo per risparmiare a tanti di buona volontà la fatica di avvisare per un falso refuso). Il processo di Satana, dunque, nel quale un diavolo, in rappresentanza della malvagità infernale tutta, cita a giudizio l’intero genere umano (Il diavolo in Paradiso. Diritto, teologia e letteratura nel Processus Satane, sec. XIV, viella, Roma).
Dobbiamo immaginare il frutto della tradizione delle sacre rappresentazioni, delle scuole di diritto, di quelle di teologia, basate sul gioco della quaestio. La vivacità culturale del XIII e XIV secolo, con il sorgere delle università e il fervere della vita cittadina, con la ripresa dei commerci e del vagare per l’Europa di studenti e maestri, tutto questo ha fatto il resto. Il testo, attribuito al grande giurista Bartolo di Sassoferrato, erroneamente ma non insensatamente, è raccolto in molti manoscritti, a testimoniarne la diffusione. Il processo di Satana, dunque, che però non interviene di persona, manda un diavolo qualunque, un demon, che a nome di tutti i diavoli reclama il possesso dell’umanità peccatrice, a lui sottratta dal «tranello» della morte di Cristo. Questa era sembrata cosa gradita a Satana, in quanto morte inflitta con crudeltà a un innocente. Ma non poteva prevedere, il Maligno, che il sacrificio avrebbe pagato il debito contratto dall’umanità con Dio al momento della caduta originale. Il gioco teologico è raffinatissimo, e gode certamente delle riflessioni dei pensatori sul tema della redenzione.
Il primo fu Anselmo da Aosta, che nell’XI secolo scrisse il Cur Deus homo, precisando il senso della «soddisfazione» di un sospeso tra Dio e gli uomini, non della liberazione dalla schiavitù del diavolo. La salvezza dell’uomo è dunque nella remissione di un debito, un affare dal quale il diavolo, che è assenza e negazione, che è nulla, rimaneva del tutto escluso. La pretesa di vedersi restituito il possesso del genere umano è insensata, perché non è mai stato suo. Nei dibattiti universitari, qualunque problema veniva risolto ponendo pareri di auctoritates e citazioni dalle Scritture che sembrano sostenere una tesi e il suo contrario, perché il maestro potesse sciogliere il dubbio confutando a una a una le tesi sbagliate. Un pacato o rissoso ragionare mettendo in gioco vaste letture, fino alla soluzione, mai nota fin dall’inizio tranne in caso di verità di fede. Niente da invidiare alle case histories con cui le più avanzate multinazionali oggi formano i futuri dirigenti, come anche all’arte dello storytelling con cui si sta capendo che è più facile insegnare e comunicare. Il giudice naturalmente è Cristo, l’avvocato del genere umano sarà una donna, la Vergine Maria. E che donna, da un lato rigorosa nell’applicazione del diritto (serrata la difesa del suo diritto a essere avvocata, se pur donna e umana, quindi «parente» del genere umano), dall’altro abile sfruttatrice del potere delle lacrime femminili e dell’affetto materno.
La distinzione tra procuratore e avvocato fu consacrata dalla pratica processuale del Duecento, anche se arrivò a puntuali definizioni solo più tardi. Il tema di fondo è quello della rappresentanza, quindi del problema di se e come fosse possibile che in un processo qualcuno fosse lì in nome di un altro o di altri. Dal diritto canonico, quello civile imparò la figura della persona ficta, radice e origine della persona giuridica (la nazione, la Juventus, il corpo diplomatico): come la Chiesa è corpo mistico di Cristo e agisce sempre per conto di un soggetto altro, come il Pontefice agisce in quanto Vicario di Cristo, così procuratori e avvocati agiscono per conto di una persona reale o ficta (insieme di cittadini, un ordine monastico, o – come in questo caso – l’intero genere umano). Finezze di diritto e teologia, che nei tempi oscuri e barbari dell’Età di Mezzo si riuscivano a portare in piazza e in aula, e la gente li capiva, perché li seguiva con la passione con cui noi si guarda un grande film, una riuscita parodia.