Filosofia da quarantena

/ 06.04.2020
di Paolo Di Stefano

A giudicare dalle frasi solenni che circolano in articoli, editoriali, servizi di giornale, deve esserci in giro un accresciuto spirito filosofico, forse favorito dal senso di precarietà da virus. Propongo qui alcuni motti sentenziosi, riemersi qua e là in questi giorni, su cui forse vale la pena riflettere: «È incredibile di quante cose non sento il bisogno», disse Socrate passeggiando per il mercato (6). «I miei anni di formazione sono ancora in corso», osservò lo scrittore-editore-giornalista Oreste Del Buono a 66 anni (6–). «Volevo fare il subacqueo ma poi ho scoperto che esistevano gli squali», ha detto l’artista Damien Hirst (5+). «I dittatori amano gli architetti e odiano i poeti», è la frase del regista americano Paul Joseph Schrader (6–). «La ricerca è un’attività magnifica quando si sa che cosa cercare», è l’idea del sociologo Marshall McLuhan (5–). «Tutti pretendono d’arrivare all’immortalità in carrozza, come i cattivi cristiani al paradiso», scrisse Giacomo Leopardi a suo padre nel 1822 (6+). «Dopo ci sarà l’assalto ai parrucchieri», ha commentato Ornella Vanoni pensando a ciò che accadrà quando potremo uscire di casa (6). In mancanza di shopping e di parrucchieri, questa modesta dotazione di pensieri potrebbe occupare il nostro tempo nelle prossime settimane di riposo forzato.

«Quando muore un anziano, è come se bruciasse una biblioteca» è un proverbio africano che merita 6+++. Molto bello, ma per valutarne l’efficacia, bisognerebbe vedere quanti cittadini comuni sono davvero interessati alle biblioteche.

Eugenio Montale ovviamente lo era: dal 1929 a Firenze fu anche direttore del Gabinetto Vieusseux, una delle biblioteche private più importanti d’Italia. Il suo destino conferma l’esattezza della frase di Schrader: nel dicembre 1938 il Consiglio d’Amministrazione decise infatti di rimuoverlo dall’incarico, «nonostante i suoi meriti letterari e lo zelo e competenza fin qui dimostrati». Tra i requisiti di cui non disponeva c’era l’iscrizione al Partito fascista.

Questa storia, tra tante altre, viene raccontata più volte nei due ponderosi volumi che contengono tutte le interviste al poeta: 272 conversazioni apparse in vari quotidiani e periodici tra il 1931 e il 1981, e raccolte ora da Francesca Castellano per la Società Editrice Fiorentina (6 al coraggio dell’impresa e al fascino del risultato). Quanto all’immortalità, Montale, contrario all’eccesso di libri, disse nel 1973 a Enzo Siciliano che non ci sperava: «non è mai esistita per nessuno e in nessuna forma», dando così ragione a Leopardi (vedi sopra) e torto a sé stesso, aggiungendo che «neanche post mortem si avrà ascolto…».

Caro Eusebio (mi permetto di rivolgermi confidenzialmente a te con il nome con cui ti chiamavano gli amici), che cosa siamo qui a fare se non ad ascoltarti post mortem leggendo le tue interviste? In un dialogo del 1979 il vecchio poeta e melomane spara a zero sulla musica contemporanea come se avesse nell’orecchio la sentenza leopardiana di cui sopra: «Molti compositori del nostro tempo sono tanto negati alla musica quanto avidi di prematura immortalità». Un intervistatore illustre, Domenico Porzio, annota a margine che Montale si divertiva molto a rileggere qualche suo verso più cattivo degli altri, per esempio quelli in cui se la prendeva con il «filosofo interdisciplinare» che ama stravaccarsi «nel più fetido / lerciume consumistico».

Il «lerciume consumistico» somiglia alle cose di cui Socrate non sentiva il bisogno. Alla domanda sulla possibilità di sopravvivenza della poesia nella società dei consumi, Montale rispondeva: «Io credo che la morale del consumismo è onnivora, e che è capace di digerire qualunque cosa (…). Ognuno di noi può, frugando nella memoria, ricordare libri il cui successo è giustificato soltanto dalla mediocrità: guai se l’autore, assistito da maggiore grazia, avesse migliorato il libro. Nessuno si sarebbe occupato di lui. La poesia si salverà, perché tutto si salva…». Ovvero, se volessimo dirlo con Damien Hirst (vedi sopra): non solo il subacqueo, ma anche chi vuol fare lo scrittore (e tanto più il poeta) deve sapere che esistono gli squali.

Insomma, è impressionante su quante delle frasi solenni che circolano in questi giorni (Socrate, Leopardi, Hirst…), Montale riesce a offrire il suo punto di vista. E il parrucchiere di Ornella Vanoni? L’impressione è che finita la quarantena del coronavirus, Montale non correrebbe certo dal barbiere. Perché? Perché è lo stesso Porzio a informarci che il barbiere andava da lui, nella casa di via Bigli, a tagliargli i capelli cortissimi all’Umberto: «un rituale estivo e propiziatorio che non ha smesso fin da quando era bambino». Infine, a proposito di frasi solenni.

Quando Montale vinse il Nobel, gli chiesero una dichiarazione all’altezza dell’occasione e non gliene uscì nemmeno una. Pensò solo: «Nella vita trionfano gli imbecilli. Forse, lo sono anch’io». Mai smettere di interrogarsi sulla propria imbecillità. Un altro pensiero su cui riflettere in questa lunghissima quarantena.