«Fake news» o mozzarelle?

/ 13.11.2017
di Paolo Di Stefano

C’è un’ostinata coazione a ripetere parole inglesi che hanno un perfetto corrispettivo italiano molto maneggevole e comprensibile. Il nuovo dizionario Devoto-Oli, diretto da Luca Serianni e Maurizio Trifone, in occasione dei suoi cinquant’anni di vita (6–) ci offre un utile pronto soccorso linguistico per evitare gli anglicismi superflui. La domanda è: perché dire «evergreen» se disponiamo dell’aggettivo «sempreverde»? Perché invitare il collega per un «lunch» se vogliamo solo andare a «pranzo»? E perché parlare di «break even» se possiamo calcolare il «punto di pareggio»? Il «coffee break» a Londra va benissimo, ma a Milano o a Lugano o a Carabietta? Molto meglio concedersi una «pausa caffè», che non offende nessuno e magari aiuta a farsi capire da tutti. L’anglicismo a prescindere è, secondo Serianni e Trifone, il segno tangibile del provincialismo come complesso di inferiorità («inferiority complex») o del suo opposto speculare, lo snobismo come complesso di superiorità («superiority complex»). «feedback», «trend», «credit crunch», «endorsement», cheap», attachment», «default»: ognuna di queste parole inglesi ha un suo più affabile corrispondente in italiano. Usiamolo.

Per esempio, è tempo di «fake news», specie sul web, ovvero in Rete. Il linguista Massimo Arcangeli, scrivendone sul «Post», il quotidiano di informazione online diretto da Luca Sofri (5½), ricorda che l’italiano mette a disposizione una bella parola che equivale all’inglese «fake news»: è la «bufala», vocabolo largamente in uso per significare non solo la femmina del bufalo o la relativa mozzarella ma l’errore, la svista madornale, la notizia giornalistica priva di fondamento, la cosa di scarso valore («quel film è una bufala!»). Arcangeli non si accontenta e va alla ricerca delle origini del termine nella sua accezione figurata. In ambito linguistico romanesco, secondo Tullio De Mauro la «bufala» compare per la prima volta nel 1960 per «boiata, porcheria, cosa noiosa, fregatura». Un altro linguista, Paolo D’Achille, ha precisato che il primo a parlare di «bufala» fu Nino Manfredi nell’edizione 1959 di Canzonissima. Per qualcuno la «bufala» come «fake news» deriverebbe dalla mozzarella scaduta o scadente (1); per altri proviene da una particolare calzatura femminile, di bassa qualità, in voga negli anni Quaranta a Roma: una scarpa che, non avendo la suola in cuoio ma in pelle di bufalo (o bufala), provocava rovinose cadute sotto la pioggia. Niente di tutto ciò per Arcangeli: la «bufala» va ricondotta all’animale che veniva letteralmente preso per il naso, cioè che si lasciava docilmente trascinare dal contadino grazie a un anello attaccato alle narici. Lo dimostrerebbero alcune attestazioni secentesche, a cominciare da una commedia di ambito reggiano dove si parla di una Clorinda «menata per il naso come una bufala».

Risolta la «bufala», non si risolvono facilmente le bufale. Si avvicina Natale e Cécile Kyenge, eurodeputata italiana di origine congolese, è costretta a smentire le falsità che migliaia di messaggi in Rete diffondono sul suo conto: avrebbe annunciato una crociata contro le recite e le feste cattoliche nelle scuole. Falso!, anche perché l’ex ministra è a sua volta cattolica. Ma ogni anno salta fuori tra virgolette una sua pseudo-dichiarazione utile ad alimentare l’odio razzista contro di lei, contro i congolesi, contro gli africani, contro i neri. Per non dire delle «fake news» più crudeli, quelle legate alla salute. Gigantesche bufale, baggianate, ciance, fanfaluche, palle, frottole, panzane (quante belle parole italiane, e se ne potrebbero aggiungere altre meno delicate…) che invece di alimentare l’odio alimentano speranze senza senso. Per esempio: il cancro si cura con il bicarbonato o con la dieta vegetariana. Falso!, non c’è un solo studio che lo dimostri. Nella strage di Barcellona dell’estate scorsa gli ambulanti sono stati risparmiati dalla follia omicida perché erano al corrente degli attentati e hanno avuto tutto il tempo per mettersi al riparo. Falso! I migranti, poi… Prendono 35 euro al giorno, si godono la vita negli alberghi a tre-quattro stelle, dispongono di cellulari di ultima generazione, portano malattie dai loro paesi, vengono soccorsi da cooperative legate alle mafie. Non una di queste affermazioni ha un fondo di verità. Ma la verità è ormai un dettaglio irrilevante. L’importante è spararla grossa, poi se qualcuno provvederà a smentire sarà troppo tardi. La bufala è già stata ingoiata e digerita da milioni di utenti pronti a inviare il loro «like». Che in italiano, piaccia o non piaccia, significa «mi piace». Essere presi per il naso e trascinati come una bufala è un vero piacere! E la mozzarella scaduta, poi, una vera delizia!!! Bleah!!!