Europa, un’araba fenice?

/ 26.06.2017
di Peter Schiesser

L’Europa unita non è morta. In suo nome si può ancora vincere, e contro di essa perdere. Lo straordinario successo elettorale di Emmanuel Macron in Francia, presidente della repubblica con una schiacciante maggioranza in parlamento dopo aver fatto campagna inneggiando all’UE, ad una nuova UE, prova la prima asserzione. La clamorosa sconfitta elettorale della premier britannica Theresa May, costatale la risicata maggioranza che il suo partito aveva in parlamento e interpretata come un ripudio di una «hard Brexit», suggerisce che sia valida anche la seconda. Se Marine Le Pen e ancora di più il suo partito di estrema destra sono stati battuti con un’ampia maggioranza, se Theresa May si trova indebolita al tavolo dei negoziati con Bruxelles (i negoziatori britannici hanno già fatto prime concessioni, accettando che le discussioni du un nuovo accordo di libero scambio possano cominciare solo a divorzio consumato), lo si deve alla volontà popolare. La temuta rivolta generale contro le élite, europeiste e distanti dal popolo, non c’è stata.

Ma per infondere nuova vita a questa Europa è indispensabile una spinta ideale, progettuale, che si traduca in una politica di riforme. Questo è ovviamente un processo lungo, ma già si colgono segnali politici incoraggianti: Angela Merkel e Emmanuel Macron manifestano con insistenza la volontà di ridare centralità e forza al motore franco-tedesco, sia economicamente, sia come progetto globale. A questo rinnovato asse è però subordinata la condizione che la Francia esca dal suo letargo economico. Dopo gli insuccessi dell’approccio socialista, hollandiano, alla crisi, i francesi (la maggioranza di quella metà degli elettori che è andata a votare) danno ora fiducia ad un giovane politico che incarna un liberal-socialismo che intende coniugare libero mercato e solidarietà, consapevoli che non saranno solo rose e fiori. Se i francesi accetteranno i sacrifici che Macron dovrà loro imporre, pur mitigati da politiche di solidarietà sociale, la Francia potrà fornire l’energia necessaria per riportare l’Unione europea sotto una guida condivisa con la Germania. Il destino della Francia coincide ancora una volta con quello dell’Europa, se si ristabilirà un equilibrio di potere fra Berlino e Parigi svaniranno le apprensioni mai del tutto sopite riguardo un’Europa troppo tedesca.

Ma la salvezza di un’Europa unita non si ottiene solo con alleanze strategiche tra Germania e Francia: urgono riforme. E va detto che a Bruxelles non si è rimasti inattivi, a più livelli, politici e intellettuali, fioriscono idee e progetti a medio e lungo termine. Aiuta anche molto il fatto che l’UE si sta rendendo conto di non poter più contare molto sull’America, è consapevole di dover affrontare da sola le sfide del Ventunesimo secolo (la sicurezza e il terrorismo, le ondate migratorie, la lotta contro i cambiamenti climatici, gli squilibri economici). E aiuta anche che l’euro abbia resistito alla crisi e l’economia stia ripartendo. Ora si tratta di concretizzare le idee in riforme concrete, che vadano a vantaggio dei cittadini dell’Unione, se non si vuole che populismo e nazionalismi si rafforzino ulteriormente.

Ci vorrà però anche una forte spinta ideale, che sottolinei i valori su cui si fonda l’Unione, e la forza di fare rispettare le decisioni che scaturiscono. Governi nazional-populistici come in Polonia e Ungheria, che rifiutano di accettare decisioni europee (in merito all’accoglienza di profughi) e adottano leggi contrarie alla costituzione europea (per esempio sulla libertà di stampa), erodono i fondamenti dell’Unione stessa. La forza dell’Unione europea resterà alla fine la sua coesione, fra Stati e all’interno di essi.