Lugano, una mattina finalmente asciutta e luminosa dopo tanti giorni di scrosci fastidiosi. In piazza Dante alcuni attivisti dell’Udc raccolgono firme «Per un’immigrazione moderata», detta anche «Iniziativa per la limitazione»; in piazza Riforma, invece, soci e simpatizzanti di Coscienza Svizzera si apprestano ad entrare nella sala del Consiglio comunale per discutere di «federalismo svizzero e costruzione europea». Due piazze vicine spazialmente eppure sideralmente lontane sul piano politico; l’una intenta a ribadire una traduzione legislativa rigorosa della volontà popolare espressa il 9 febbraio del 2014 per arginare l’immigrazione di massa (proposito che si ritiene il Parlamento abbia tradito); l’altra occupata a disegnare scenari tenendo conto degli interessi in campo, del rimescolamento dei rapporti di forza, delle possibili strategie per rinnovare il patto.
Lo sappiamo: l’Europa – nelle forme concretamente assunte, ovvero l’Unione europea – accende gli animi e polarizza le opinioni: una tela spaccata a metà da un taglio che per ora non lascia intravedere punti di contatto e di mediazione. Sul lato destro si colloca un’associazione come l’Asni, «Azione per una Svizzera neutrale e indipendente»; dall’altro si pone Numes, ovvero il «Nuovo movimento europeo svizzero». La prima s’impegna «per la salvaguardia dell’indipendenza, della neutralità e della sicurezza della Confederazione svizzera»; la seconda propugna la «creazione di una federazione europea» e caldeggia un’«adesione rapida della Svizzera all’Unione europea». È possibile anche personificare questa contrapposizione: da una parte Marco Chiesa, dall’altra Jacques Ducry.
I prossimi appuntamenti con le urne provvederanno ad irrigidire ulteriormente i fronti. Un primo assaggio lo si è già avuto alle Camere federali con il dibattito sull’iniziativa «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (iniziativa per l’autodeterminazione)». Per i promotori – in primo luogo Udc e Lega – lo spirito del testo risale addirittura al Medioevo, ha le sue radici nella rivolta dei paesi forestali contro gli emissari degli Asburgo. Bruxelles, in questa visione, sarebbe il nuovo balivo, colui che pone i suoi codici al di sopra degli ordinamenti locali (e come aveva fatto, ai primi dell’Ottocento, Napoleone con il suo «Code civil»). Poi nell’autunno del 2019 (20 ottobre) si voterà per il rinnovo dei poteri federali.
Questo nella Confederazione. Il 2019 sarà anche l’anno dell’elezione del parlamento europeo (maggio). Ancora una volta andrà in scena lo scontro tra la corrente europeista e il folto, chiassoso e multiforme schieramento anti-Ue: euroscettici, sovranisti, nazionalisti, movimenti xenofobi, nostalgici dei regimi autocratici per non dire di peggio. Il calo dei maggiori partiti assertori del progetto comunitario, principalmente democristiani e socialisti, potrebbe dar luogo ad una costellazione di forze ondivaga e non facilmente controllabile. Tutto lascia presumere che il vento girerà a svantaggio delle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo. La costruzione europea non è più popolare: anzi, molti governi vorrebbero abbandonare l’euro, rialzare le frontiere e proteggere i propri mercati attraverso il crivello dei dazi.
Gli anni dell’euforia sono ormai alle spalle. Sia la casa comune europea, sia i processi di globalizzazione sono ora bersaglio di feroci critiche. I capi d’accusa sono noti: burocrazia tanto elefantiaca quanto cavillosa, politiche di austerità che hanno finito per strangolare piccoli Stati come la Grecia, incapacità di gestire l’afflusso dei profughi provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. La destrutturazione del mondo del lavoro, delle norme che regolavano i conflitti e dei delegati che filtravano le rivendicazioni, ha gettato nello sconforto la vecchia «working class», scivolata nel girone dell’incertezza e della precarietà. L’Ue, insomma, è diventata il nemico da combattere, non più un’architettura da rivedere e da migliorare.
Questo tiro incrociato finirà per agevolare il compito dei negoziatori svizzeri, che di questo passo si ritroveranno a trattare con un’Unione indebolita e sempre meno coesa? Alcuni se lo augurano; altri invece paventano un inasprimento dell’atteggiamento di Bruxelles. Per quest’ultimi non è scontato che l’uscita della Gran Bretagna dalla famiglia europea favorisca le trattative diplomatiche Svizzera-Ue.