Europa, continente fragile

/ 30.01.2017
di Ovidio Biffi

Vedo su schermi e giornali immagini con il presidente cinese Xi intento a degustare la fondue. Alla sua sinistra Didier Burkhalter lo invita a sprofondare la forchetta con il pane nella miscela, alla sua destra la moglie lo sbircia preoccupata. Atmosfera ideale per scordare che la Cina rimane una delle incognite dello scenario politico internazionale. Forse è per questo che nella mente, quasi come monito, riaffiora la citatissima metafora del battito d’ali di una farfalla in Cina che può generare tempeste in Occidente. Di colpo sono nel mezzo della politica estera, cioè in qualcosa che, con i suoi mutamenti e drammi, oggi contribuisce a far lievitare le nostre incertezze e le nostre paure. Ne parlo solo per questo, non per impartire lezioni o suggerimenti che non possiedo, solo per cercare di capire il momentaccio che stiamo passando.

In un editoriale di quest’estate, l’«Economist», commentando il voto a favore di Brexit, aveva annunciato che la decisione del popolo inglese avrebbe tolto l’ultimo velo a quella che il settimanale definiva «una nuova grande divisione politica (…) che avrebbe soppiantato quella tradizionale fra destra e sinistra» e messo al suo posto i concetti di «apertura» e di «chiusura». Pochi mesi dopo, con Donald Trump alla Casa Bianca, come primattore di questa nuova divisione politica (sposterà gli Usa sulla sponda dell’anti-globalizzazione, se non su quella dell’isolazionismo), con il suo omologo cinese Xi che al WEF di Davos perora la difesa della globalizzazione (e nessuno a ricordargli che la Cina è uno dei paesi più protezionisti del mondo), abbiamo una conferma di questo cambiamento e ci chiediamo quale ruolo riuscirà a svolgere l’Europa nello scontro «apertura – chiusura».

La sfacciataggine iconoclastica di Trump e i «battiti d’ali» liberaleggianti di Pechino raggiungono l’Unione europea in un momento già costellato di incognite che condizionano l’azione e i programmi dei suoi principali attori. A iniziare dal suo asse portante, quella Germania che deve rieleggere il suo cancelliere se vorrà navigare incurante dei movimenti populisti e dei fantasmi che i tedeschi, con la riunificazione, pensavano di aver sepolto per sempre in un passato senza ritorno. Un nuovo presidente lo deve scegliere anche la Francia che ogni cinque anni ritrova i nodi non sciolti del gollismo: in bilico fra una sinistra forte nell’autoproclamazione (dire) ma debole nei suoi «leader» (fare) e una destra che sfarfalla fra estremismo (promesso un referendum per uscire dall’Ue) e populismo, una Francia perennemente incapace di compiere il passo verso larghe intese politiche che consentano governi stabili e programmi credibili.

Su queste fragilità pesa anche la decisione della Gran Bretagna di voltare le spalle all’Unione europea: Brexit potrebbe diventare la falla che Bruxelles non può più controllare, soprattutto se a fianco del premier Theresa May si muoverà la tonitruante figura di un Trump deciso a porre fine alla gratuità del servizio che gli americani da 70 anni garantiscono all’Europa con la Nato a coprire i costi /debiti di una difesa comune sempre più difficile da gestire e anche da disegnare. Aggiungete a queste incognite quelle non meno delicate che riguardano la Turchia di Erdogan, la Russia di Putin e le difficoltà economiche che stanno incontrando i paesi del Mediterraneo, e si scoprono i rischi per l’Europa «di dividersi in tanti pezzetti in lotta fra di loro, con nuove potenze meno benigne pronte a prendere il suo posto», proprio come ammoniva l’«Economist».

Cambiamenti epocali, alleanze e accordi che saltano, convergenze negative, crisi dell’Europa: era tutto imprevedibile? Qualcuno non è d’accordo: «In questo momento poi, l’Europa è piuttosto una nazione governata da una dieta assoluta; o vogliamo dire sottoposta ad una quasi perfetta oligarchia; o vogliamo dire comandata da diversi governatori (…) Non solo non c’è più amor patrio, ma neanche patria. Anzi neppur famiglia. L’uomo, in quanto allo scopo, è tornato alla solitudine primitiva. L’individuo solo, forma tutta la sua società. Perché trovandosi in gravissimo conflitto gl’interessi e le passioni, a causa della strettezza e vicinanza, svanisce l’utile della società in massima parte; resta il danno, cioè il detto conflitto, nel quale l’uno individuo, e gl’interessi suoi, nocciono a quelli dell’altro, e non essendo possibile che l’uomo sacrifichi interamente e perpetuamente se stesso ad altrui, (cosa che ora si richiederebbe per conservare la società) e prevalendo naturalmente l’amor proprio, questo si converte in egoismo, e l’odio verso gli altri, figlio naturale dell’amor proprio, diventa nella gran copia di occasioni che ha, più intenso, e più attivo». L’italiano forse non è più quello di oggi, ma il «survey» socio-politico sull’Europa che ci viene trasmesso, con tanto di accenni a individualismo e populismi, è di straordinaria attualità: l’ha scritto Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone, due secoli fa.