Europa, anno spartiacque

/ 31.12.2018
di Peter Schiesser

Forse mai come oggi, negli ultimi decenni, si può affermare che il 2019 sarà un anno cruciale per l’Europa e per i paesi che la compongono,  Svizzera compresa, proprio per i rapporti che ci legano all’Unione europea. Sarà un anno spartiacque.

Guardiamoci attorno: con i gilets jaunes la Francia vive una crisi inaspettata, una rivolta popolare che neppure i (partiti) populisti hanno saputo prevedere e tantomeno cavalcare. La rivolta contro l’aumento dei prezzi dei carburanti voluto dal governo (e dopo le feroci proteste per ora congelato), come in passato il popolo si rivoltava contro l’aumento del prezzo del pane, ha colto di sorpresa e fatto paura al governo. È l’antico riflesso francese, la spinta anarchico-rivoltosa contro i propri regnanti? Non dobbiamo riandare alla presa della Bastiglia, oltre due secoli fa, per ritrovare delle tenaci proteste popolari che paralizzano il paese e il governo. Ma in questo 2018 va sottolineata una particolarità: un governo nato sull’onda di un movimento, quello di Macron, che ha sbaragliato i partiti tradizionali in perdita di credibilità come pure la destra populista del Front National di Marine Le Pen, subisce la pressione di una protesta popolare senza strutture e capi rappresentativi. Un malcontento che investe una forza anti-sistema che non è riuscita a generare una politica credibile. E questo è un brutto segnale per le istituzioni francesi, foriero di instabilità politica anche nell’anno nuovo.

Per contro, in Germania le istituzioni restano solide, ma, come scrive Caracciolo a pagina 16, torna ad aleggiare un certo spirito di Weimar: i due partiti storici, Spd e Cdu-Csu, sono in caduta libera di consensi, non riescono quasi più a creare maggioranze, inoltre il paese è scivolato nel crepuscolo del cancellierato Merkel senza che all’orizzonte si ergano figure o forze in grado di raccoglierne l’eredità, mentre un inquietante rigurgito di nazionalismo con echi che si vorrebbero dimenticati si riaffaccia alla quotidianità del paese più importante dell’Unione europea. Ad udirli, quegli echi assomigliano un po’ a quelli che in Italia si odono nei palazzi del governo e del parlamento: qui le istituzioni sono indebolite da tempo, il paese è abituato ad arrangiarsi da solo, a non contare su chi comanda; tuttavia la tendenza a governare per decreto, affidandosi all’uomo forte, con toni bellicosi (verso gli stranieri, verso l’Europa), le rende ancora più fragili, passibili di sovvertimento. E l’attuale uomo forte italiano, Matteo Salvini, ha in mente proprio questo, ma anche qualcosa in più: il sovvertimento degli attuali equilibri politici nell’Ue.

Vista la costellazione attuale in vari paesi europei, non è detto che il disegno di Salvini non riesca: lo sapremo in maggio, con le elezioni per il parlamento europeo. Sapremo se le attuali istituzioni e la coesione dell’Unione (oggi già messe alla prova da Polonia e Ungheria che di fatto non riconoscono più valori fondamentali come l’indipendenza della giustizia e la libertà d’espressione) resisteranno a questa nuova onda d’urto. Questo, mentre la Gran Bretagna si avvicina al baratro di una hard Brexit (v. Cazzullo, pag. 18), ciò che non mancherà di sollevare qualche onda anche all’interno dell’Ue.

E poi ci siamo noi. Il nostro interrogativo cruciale è: sì o no all’accordo quadro istituzionale con l’Unione europea. ossia: sì o no alla Via bilaterale. Non è poco. Ma attualmente non sembrano esserci una grande consapevolezza della posta in gioco. In questo assomigliamo ai cugini europei, molti dei quali non sembrano consci dei pericoli che stanno correndo i singoli paesi e le istituzioni europee. Questa la base di partenza, tuttavia la partita non è persa in partenza.