Il 30 aprile scorso, quando si diffuse la notizia della morte di Ueli Steck, l’immediata reazione, popolare e mediatica, fu un cordoglio unanime. Soprattutto in Svizzera, di cui lo scalatore era un simbolo dei più rappresentativi, non a caso soprannominato «Swiss Machine». Sia per l’origine, l’Emmental, sia per l’aspetto, solido e asciutto, sia per la scelta professionale e di vita, la montagna, il nostro Ueli sembrava concentrare le prerogative fisiche e morali del cittadino elvetico idealizzato. Uno, insomma, che s’impegna a fondo, determinato sino all’ostinazione, pur di arrivare all’obiettivo. Spingendo la dedizione all’estremo, tanto da diventare eroismo. Questa definizione di eroe, attribuita a un grande sportivo, che sfidava itinerari impossibili, doveva, però, dar adito anche a perplessità e ripensamenti, affidati alle pagine virtuali dei social, ormai termometri della sensibilità di massa. Come sempre succede in ogni lutto, dopo il tempo dell’ammirazione e della commozione, dovute a un personaggio noto che scompare, è la volta dei ripensamenti e dei dubbi: cioè un secondo tempo in cui si scopre l’altra faccia della medaglia.
In realtà, chi era Ueli Steck, un eroe autentico o presunto, e poi, cosa si deve intendere, oggi, per eroe, quali ne sono i connotati, i compiti, le motivazioni?
E qui il baricentro del discorso si sposta. Da un fatto di cronaca, la caduta dell’alpinista in un crepaccio, commentato alla buona su Facebook o al bar, si passa a un tema, più alto e di sempre: l’eroismo, appunto, che appartiene alla storia, assumendo, attraverso i secoli, significati e valori diversi. Semidio, secondo la mitologia antica, la figura dell’eroe doveva, poi, coincidere con quella del guerriero, del conquistatore, del rivoluzionario, al servizio di cause patriottiche o religiose, non tutte nobili. Anzi, sfruttate dai dittatori di turno. Meglio un giorno da leone che cento da pecora, proclamava uno slogan di Mussolini, per risvegliare le virtù militari, che portano all’eroismo, contrapposte al quieto vivere che, invece, porta all’indifferenza e alla viltà. E, adesso, le nostre democrazie quali eroi hanno prodotto?
Negli ultimi decenni si è formata una nuova tipologia di possibili eroi, diversi fra loro, accomunati però dall’appartenenza alla cosiddetta società civile. Non provengono più dalle alte sfere militari e politiche, ma dalle file dei cittadini comuni. Gente come noi, si fa per dire. Grazie a un talento innato, a una volontà di ferro, a circostanze favorevoli, a un colpo di fortuna, riescono a uscire dall’anonimato, per farsi conoscere e ottenere il seguito popolare che spetta al divo, versione attuale dell’eroe. Si tratta, innanzi tutto, di campioni sportivi, cantanti, musicisti, attori, artisti, scrittori, come pure di scienziati e tecnologi che, in tanti modi, contribuiscono ad agevolarci la vita, creando svago, informazione, magari cultura. Da Roger Federer a Bill Gates, tanto per citare i vertici, la categoria offre una scelta variegata di personaggi in grado di suscitare entusiasmi dagli effetti persino consolatori. Fatto sta che, nei loro confronti, il pubblico ha sviluppato una sorta d’indulgenza per quel che concerne i guadagni, spesso assurdi. Si accetta il criterio della visibilità: più si è visibili più si viene pagati.
Invece, c’è anche un bisogno di eroi invisibili. È emerso, inaspettatamente, nel dibattito sul caso Ueli Steck. Se, ovviamente, lo scalatore solitario più veloce del mondo rimane una figura straordinaria, in grado di superare se stesso, non merita però la qualifica di eroe. Secondo i giudizi, emanati da questo tribunale virtuale, il bravo Ueli si è distinto in prove individuali, per misurare ed esaltare le proprie capacità e facendo parlare di sé, una manifestazione di egoismo. Altra cosa, l’eroismo che sottintende la disponibilità verso il prossimo, in tanti modi e attraverso canali pubblici o privati. E tutto ciò, con discrezione, senza chiedere compensi di nessun genere, utili e invisibili. Di questi eroi il Paese ha urgente bisogno. Rimane aperto l’interrogativo di Brecht: è infelice il Paese che non ha eroi o quello che ne ha bisogno?