Accanto all’invecchiamento della popolazione la svolta energetica è certamente il problema che maggiormente potrebbe condizionare il futuro dell’economia svizzera e del nostro benessere. Le nostre autorità hanno deciso che, entro il 2050, la Svizzera non dovrebbe più far ricorso ad energia prodotta da centrali nucleari. Questo significa che la quota di questo tipo d’energia dovrebbe diminuire a favore, si pensa, della quota di energia prodotta con risorse rinnovabili (energia solare, del vento, della biomassa, ecc.). Gli avversari di questa svolta hanno già preannunciato che se la stessa dovesse essere realizzata nel 2050 gli svizzeri dovranno fare la doccia all’oscuro e con l’acqua fredda.
Questo tipo di argomentazione è di quelli che mettono immediatamente fine alla discussione e non consentono di vedere quale sarà la vera portata del problema. Come se in materia di consumo di energia non vi potesse essere nessun cambiamento. Come se, addirittura, nessun cambiamento ci fosse mai stato. Se consideriamo cosa è successo in Svizzera, in materia di energia, nel corso degli ultimi due secoli, ci accorgiamo però che di cambiamenti ve ne sono stati molti. Penso addirittura che si possa dire che in nessun settore collegato con l’attività economica vi siano stati cambiamenti così importanti, nel corso della storia recente, come nel settore energetico. Gli stessi, come ha messo di recente bene in evidenza un rapporto che specialisti dell’università di Innsbruck* hanno preparato per l’Ufficio federale dell’energia, sono stati provocati, da un lato, dall’evolvere della tecnologia e, dall’altro, dall’incredibile espansione del consumo di energia.
A metà Ottocento, quando le statistiche consentono di tentare una prima stima dell’importanza delle singole fonti energetiche, più del 95% del fabbisogno energetico della Svizzera era assicurato dal legno e dalla torba. La situazione a quella data non era probabilmente diversa da quella che, per secoli, aveva prevalso nelle campagne e nelle valli del nostro paese. Del carbone, a metà Ottocento, neanche l’ombra, o quasi. Anche in Ticino, laddove non arrivava la forza delle braccia e delle gambe degli uomini e quella delle gambe degli animali domestici, il fabbisogno in energia era coperto dal legno e dalla torba che venivano addirittura esportati verso il Comasco, il Milanese e il Piemonte. Cinquant’anni dopo, nel 1900, legno e torba continuavano ad assicurare tre quarti del fabbisogno. Il carbone e il gas, però, coprivano già un po’ più del 20% dello stesso. La prima metà del Ventesimo secolo è l’epoca del carbone bianco, ossia dell’elettricità prodotta, nel nostro caso, da centrali idroelettriche. Ma con l’espandersi della motorizzazione privata e del riscaldamento nelle case e negli appartamenti anche il petrolio comincia a diventare importante. Nel 1950, carbone e gas continuano ad assicurare il 42% del fabbisogno, mentre la quota del legno e della torba è ormai caduta al 12%. A completare l’offerta di energia si trovano ora il petrolio con il 25% e l’energia idroelettrica con il 21% del totale. Nei decenni che seguono è il petrolio che diventa la fonte energetica largamente più importante. Ma, a partire dagli anni Settanta e dalle due crisi petrolifere di quel decennio, la quota del petrolio comincia a perdere di importanza. Oggi la Svizzera dispone di un ventaglio più largo di fonti energetiche, nel quale trovano posto anche le energie rinnovabili. Così, nel 2009,la fonte più importante continuava ad essere il petrolio, la sua quota si era però ridotta al 44%. L’energia idroelettrica era scesa al 12% e le energie rinnovabili rappresentavano il 6% dell’offerta totale. Carbone e gas continuavano ad assicurare un 9%, mentre la quota del nucleare era salita al 26% (tenendo conto anche delle importazioni, ovviamente).
Se teniamo conto delle modifiche nelle quote assicurate da ogni fonte energetica durante gli ultimi 160 anni, possiamo pensare che abbandonare il nucleare e la sua quota non dovrebbe essere impossibile. La grande difficoltà, però, è data dal fatto che, in primo luogo, il numero dei consumatori di energia continua ad aumentare e, in secondo luogo, che il consumo pro-capite di energia continua a svilupparsi a tassi superiori al tasso di crescita dell’economia. Di conseguenza non è possibile pensare a una svolta energetica, con abbandono dell’energia prodotta da centrali nucleari, senza che si facciano grossi passi avanti in materia di risparmio energetico. Anche se questo dovesse significare, per qualche volta, dover fare la doccia fredda.
* Patrick Kupper, Irene Pallua Energieregime in der Schweiz seit 1800, Bundesamt für Energie BFE, luglio 2016.