Elezioni storiche, senza storia

/ 10.12.2018
di Peter Schiesser

La sorpresa è che questa volta non c’è stata sorpresa: il 5 dicembre la popolare democratica vallesana Viola Amherd e la sangallese Karin Keller-Sutter sono state elette in Consiglio federale al primo turno, con 148 e 154 voti. La consigliera di Stato urana Heidi Z’graggen e il consigliere agli Stati nidvaldese Hans Wicki non sono andati oltre i 60, rispettivamente 56 voti. La volontà di avere due donne in più in Consiglio federale e il vantaggio di Viola Amherd di essere consigliera nazionale, e quindi nota a chi era chiamato a eleggere i membri del governo, erano palesi, a questo si aggiunga la spiccata personalità politica della senatrice sangallese. Non c’è stato spettacolo mediatico, nessuno giochetto politico, nessuna candidatura selvaggia: tutti a sottolineare una scelta nello spirito della concordanza, quasi a voler far dimenticare la polarizzazione che va crescendo di legislatura in legislatura da una ventina di anni.

Non è rassicurante, in particolare in un contesto europeo ed internazionale sempre più instabile, con le istituzioni nazionali e l’ordinamento internazionale pesantemente sotto tiro da parte di forze populiste, vedere che in Svizzera si punta ancora sulla stabilità, sulle competenze dei politici, sulla volontà di ricercare il compromesso? Allo stesso tempo, questa doppia elezione non va interpretata soltanto come un segno di continuità, di silenziosa spartizione del potere: Karin Keller-Sutter e Viola Amherd hanno criticato l’eccessivo dipartimentalismo nel modo di far politica dell’attuale Consiglio federale, intendono entrambe studiare anche i dossier dei colleghi di governo per lavorare a delle soluzioni davvero collegiali, condivise, senza temere il confronto delle idee. Le due nuove consigliere federali sono consapevoli delle numerose sfide che attendono il paese e sono convinte che soltanto costruendo solide maggioranze, lottando a fondo per dei compromessi con le altre forze politiche, si potrà convincere i cittadini delle scelte che dovranno essere fatte. Non sono poche: il futuro dell’AVS e delle casse pensione, l’imposizione fiscale delle imprese, la concretizzazione della svolta energetica e le misure per la salvaguardia del clima, le relazioni con l’Unione europea, la difesa nazionale. Ci vuole dunque un governo che prenda in mano le redini, proponga riforme. Non che finora il Consiglio federale fosse inattivo, anche se il politologo Adrian Vatter, nell’intervista a pagina 25, sottolinea che negli ultimi anni il ruolo di proporre leggi è stato assunto vieppiù dalle Camere federali.

Come verrà recepito dalla popolazione svizzera questo messaggio? Avrà un influsso sulle prossime elezioni federali, fra dieci mesi? Molto dipenderà da come si comporterà il Parlamento, è lì che la polarizzazione e il muro contro muro si concretizzano in modo più evidente (non c’è il velo della collegialità che vige nel Consiglio federale a celare le differenze di vedute). Le due neo-elette sono rappresentanti dei due partiti che più di altri cercano soluzioni di compromesso, entrambe sembrano però voler trovare compromessi coraggiosi, per i quali devono tuttavia poter contare su maggioranze in parlamento altrettanto coraggiose. Le buone intenzioni espresse il giorno dell’elezione si scontrano invece spesso e rapidamente con la realtà. E la realtà mostra che i due partiti più forti, l’Udc e il Ps, spesso preferiscono agire da forza di opposizione pur di non annacquare le proprie posizioni di fronte all’elettorato. Starà quindi anche agli elettori decidere se rafforzare i partiti maggiormente votati (nei fatti) alla concordanza, quindi il centro, o se gradire, come finora, le forze e i politici che preferiscono nessuna soluzione a un compromesso.