E Gregor Samsa si trasformò in Smartphone

/ 07.08.2017
di Paolo Di Stefano

Qualche settimana fa Federica, una ragazza di seconda liceo che ha già quattro romanzi nel cassetto pur non amando la lettura (a parte quella dello Smartphone), mi ha chiesto consigli su come superare il blocco della pagina bianca: le ho risposto che un buon metodo sarebbe quello di riavviare il motore inventivo leggendo i grandi libri. Non certi romanzi mediocri che occupano le chiacchiere dell’estate, le pagine culturali, le classifiche dei bestseller, ma davvero i Grandi Libri. Federica mi ha replicato che una volta ha aperto Il barone rampante ma l’ha trovato noioso e l’ha chiuso dopo la prima pagina. Per non scoraggiarla troppo (sbagliando) le ho consigliato allora di limitarsi agli inizi: dagli incipit dei classici si imparano un sacco di cose, certi attacchi possono ispirare, suggerire capovolgimenti e attualizzazioni per nuovi romanzi a venire. 

«Chiamatemi Ismaele» (Moby Dick di Melville). 

«Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”» (Lo straniero di Camus).

«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo» (Anna Karenina di Tolstoj).

«Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo» (La metamorfosi di Kafka).

Sapreste scegliere il migliore tra questi inizi? Io no (del resto, nella mia valutazione oscillerebbero tutti tra il 6 e il 6+): sono incipit diversi, dichiarativi, insinuanti, pacati, argomentativi, descrittivi, fulminei, concitati (il più concitato di tutti è quello, magistrale, di Lolita: «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi»). Lenti o veloci, fermi o frizzanti, chiusi o aperti. Darei un 6½ (sentimentale) a Pinocchio: «C’era una volta… “Un re!” diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno». Perché questo è uno degli incipit che preferisco in assoluto? Perché parla direttamente al lettore, sorprendendolo, assecondandolo e depistandolo insieme, e non solo anticipa la vicenda e l’atmosfera, ma fa anche assaporare lo stile del racconto che verrà. 

Ci pensavo, per contrasto, leggendo Le stelle fredde di Guido Piovene, appena riproposto da Bompiani con prefazione di Andrea Zanzotto: «La presenza di Piovene nella nostra letteratura del ‘900 è una delle più vive e caratterizzate, nel bene e nel male; tutto il suo lavoro esprime commenta e accompagna un intero periodo storico nei suoi fermenti e nelle sue contraddittorie tensioni…». Ebbene, l’inizio è avvolgente («Il medico mi chiese: “Peggio dal destro o dal sinistro?”») e temevo, forse per un assurdo pregiudizio contro l’autore, che da un momento all’altro la tensione calasse fino a precipitare improvvisamente. Invece no, a un certo punto si impenna, quando entra in scena un Dostoevskij redivivo: e mi chiedo come mai questo scrittore, nato nel 1907 e morto nel 1974, sia stato quasi del tutto dimenticato (lo Strega, vinto nel 1970, non gli ha garantito l’eternità!). 

Ma torniamo agli incipit, eccone un altro: «Quando si è giovani, si è giovani, più o meno, tutti nello stesso modo. Vecchi, se si resta in vita abbastanza, lo si diventa ognuno a modo suo». Decisamente tolstojano, ma bello. È Lidia Ravera, Il terzo tempo, romanzo sulla vecchiaia, che naturalmente non può essere e non è Anna Karenina, pur evocandone l’inizio. Fatto sta che gli incipit si prestano al gioco della citazione (più o meno occulta) o addirittura al gioco del rovescio: la «notte buia e tempestosa» di Snoopy (altro 6+) non è l’opposto della «notte dolce e chiara e senza vento» di Leopardi? Pur somigliandosi nella vaghezza: una notte, d’accordo, ma in quale data esatta? Ci sono scrittori che preferiscono la sospensione cronologica e altri che dichiarano subito il preciso tempo storico dell’azione. Celebre l’apertura dei Fiori blu di Queneau: «Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara» (per il voto d’aria, vedi sopra). Affacciandosi oggi su internet, al mattino, la liceale-scrittrice Federica, in calo di ispirazione, potrebbe identificarsi nel Duca d’Auge e iniziare così il suo quinto romanzo da cassetto: «Il primo agosto duemilaediciassette, sul far del giorno, accesi l’iPad per considerare un momentino la situazione storica. La trovai poco chiara». Oppure, immedesimandosi in Gregor Samsa, buttar giù questo attacco: «Destandomi un mattino da sogni agitati, mi trovai trasformata nel mio letto in un enorme Smartphone immondo…».