Alle elezioni europee le due grandi famiglie tradizionali che governano l’Ue – i conservatori e i socialdemocratici – continueranno a essere protagoniste ma con grandi perdite in termini di seggi, al punto che per la prima volta potrebbero perdere la maggioranza e dovranno fare patti – tanti patti – con altri gruppi, liberali in testa. A patire di più sono i socialdemocratici perché i partiti di sinistra in molti paesi membri non godono di grande consensi, in particolare nei due paesi del motore europeo, la Germania e la Francia. A Berlino l’Spd viene da brutti risultati elettorali ed è ancora indecisa sulla propria identità – come ovunque: ci si radicalizza o si sta al centro? – tanto che i Verdi, con la loro aria irresistibile da «comeback kids», stanno rosicchiando ai socialdemocratici l’elettorato giovane e urbano (la classe lavoratrice era già scivolata via, rimane poco). Ma peggio di come sta la sinistra francese nessuno.
Come si sa, alle presidenziali del 2017, il Partito socialista francese è sostanzialmente scomparso: prese poco più del 6 per cento al primo turno, molti suoi leader si unirono al progetto di Emmanuel Macron, persino la sede – visto che i simboli contano – di via Solférino è stata dismessa. Così da tempo si pensa a come resuscitare questa gauche, con l’unica certezza che peggio non si possa comunque fare. Alla fine dello scorso anno, Raphaël Glucksmann, figlio dell’intellettuale André scomparso nel 2015 e intellettuale a sua volta, ha fondato un movimento che si chiama Place Publique.
La storia recente di Glucksmann racconta un pezzetto della politica francese: di sinistra, cautamente macroniano in quanto europeista, Glucksmann ha diretto per qualche tempo il «Nouveau Magazine Littéraire» («nuovo» perché è stato acquisito al 40 per cento dall’imprenditore-editore Xavier Niel, già dentro al «Monde», nel 2017), storica rivista di critica letteraria fondata negli anni Sessanta. La direzione non è durata molto perché, dice Glucksmann, ci sono state interferenze macroniane tanto intense che il giovane intellò ha deciso di lasciare l’incarico. Da quel momento è diventato un critico di Macron «da sinistra», come si dice (e anche con un certo livore personale), e, con libri e poi con iniziative politiche, ha cercato di rianimare la sinistra. Così è nato il patto tra Place Publique e il Partito socialista in vista delle europee: Glucksmann è il capolista. Ma da quel momento, da questa nomina, sono iniziati i guai.
Molti socialisti non sono affatto contenti di questa alleanza, voluta dal leader (semisconosciuto) del Ps Olivier Faure, più per ragioni di potere che di idee, ma spartirsi un misero sei per cento in liste e comizi è difficile e a tratti umiliante. Questo non ha impedito ad alcune correnti di distanziarsi e ad altre di accusare Glucksmann di essere un egoista che pensa soltanto al suo seggio da europarlamentare. Ma siccome il potere negoziale sta a zero, Glucksmann è stato maldigerito ma in qualche modo accettato. Il problema è che il rassemblement sembra impossibile: i Verdi non vogliono collaborare con il Ps (ancora una volta: questioni personali), mentre l’ex socialista Benoît Hamon – la faccia della sconfitta del 2017 era la sua – che ha un suo partito non vuole collaborare né con i Verdi né tantomeno con Glucksmann. Resta Jean-Luc Mélenchon, il radicale di sinistra, che per sua natura, e anche dall’alto di una posizione elettorale più forte, non vuole aver niente a che fare con tutti questi galletti nel pollaio. Anzi, va dicendo che il leader della sinistra è soltanto lui.
Il risultato è evidente: una frammentazione del voto di sinistra che già da anni non è particolarmente solido. Secondo i sondaggi, se tutti, da Mélenchon al Ps, si unissero, supererebbero anche la République en marche del presidente e il Rassemblement national di Marine le Pen che ora sono in testa. Assumendo che l’alleanza con Mélenchon sia impossibile – lui è contro l’Europa, vuole rifondarla rivedendo tutti i trattati, cioè distruggerla – la somma degli altri partiti permetterebbe di superare la destra gollista: non un successone, ma almeno sarebbe il segnale di una presenza.
Invece no. I giornali sono pieni di pettegolezzi sugli insulti reciproci dei vari leader, che invece che investire sulle idee in comune – che sono molte, per quanto non nuovissime – si litigano una coperta tanto corta che a volta sembra che non ci sia proprio.