I libri di avventure che abbiamo letto in gioventù e innumerevoli film che abbiamo visto sul grande e sul piccolo schermo ci hanno insegnato che in situazioni di pericolo, per esempio, quando una nave minaccia di affondare, nelle operazioni di salvataggio si usa dare la precedenza alle donne e ai bambini. Questa attenzione non esiste invece sul mercato del lavoro elvetico dove le donne e, in particolare, le donne con bambini sono maggiormente esposte al rischio di restare senza lavoro del resto della manodopera. E questo in barba alle buone intenzioni di chi, come quelli di «Prima i nostri», intende dar lavoro al potenziale di lavoratori presente nel paese. Perché le madri siano particolarmente discriminate dal nostro mercato del lavoro ce lo spiegano Francesco Giudici e Reto Schumacher in un articolo apparso sul numero più recente della rivista «Dati» dell’USTAT.
Questi autori partono da una constatazione molto semplice: il tasso di attività femminile è in Svizzera molto elevato, tra i più elevati in Europa almeno per le donne tra i 25 e i 54 anni. Tuttavia questo tasso scende immediatamente di almeno dieci punti quando si considera il contingente di madri con almeno un figlio che ha meno di sei anni. In altre parole in Svizzera (più che in altri paesi), per le madri, la probabilità di perdere il posto di lavoro è particolarmente elevata e questo indipendentemente dal modo in cui evolve l’offerta di lavoro. Ci sono, spiegano gli autori di questo articolo, fattori istituzionali e caratteristiche individuali che rendono alle madri più ostico il mantenimento del posto di lavoro. Sembra addirittura che per loro la difficoltà di reintegrarsi nel mercato del lavoro aumenti con l’aumento del numero dei figli.
Gli studiosi dell’USTAT non lo dicono: i dati della statistica dimostrano però che il mercato del lavoro svizzero non è fatto per le madri. Per gli uomini, invece, essere genitore non comporta nessuna discriminazione sul mercato del lavoro. Questa constatazione sembra valere specialmente per il Canton Ticino il quale, in fatto di madri che lavorano, occupa l’ultimo posto della classifica nazionale. Tra i fattori istituzionali responsabili di questa discriminazione vi sono la carenza di strutture per la custodia della prima infanzia e i costi delle stesse per le famiglie. Altri fattori istituzionali, citati dagli autori dell’articolo che stiamo commentando, sono l’assenza di un congedo paternità e il fatto che nel nostro sistema fiscale il reddito della moglie e quello del marito vengono sommati in un’unica dichiarazione fiscale il che può essere disincentivante in particolare per il membro della coppia che guadagna meno. Vi sono però anche caratteristiche individuali che facilitano o peggiorano la possibilità per la madre di esercitare un’attività lavorativa. Nella loro analisi quantitativa Giudici e Schumacher hanno tenuto conto di 7 caratteristiche di questo tipo e cioè: il numero dei figli con meno di 10 anni, il livello di formazione dei genitori, la loro nazionalità, il loro stato civile, l’età della madre, la differenza di età fra i genitori, e il tasso di occupazione del partner. I risultati di questa analisi indicano che le madri più presenti sul mercato del lavoro sono quelle che hanno un solo figlio, una formazione di livello terziario (universitario o simile), la nazionalità svizzera, non sono sposate e hanno un partner senza grande differenza d’età, e che lavora a tempo parziale.
A questo punto, visto che le caratteristiche individuali giocano un ruolo abbastanza importante nella determinazione della possibilità di lavorare della madre, gli autori dell’articolo che stiamo esaminando si sono chiesti se eventualmente le differenze intercantonali nei tassi di attività fossero dovute a differenze nelle caratteristiche individuali nelle popolazioni di madri con figli dei singoli Cantoni. La risposta a questa domanda è negativa. Le differenze intercantonali nelle caratteristiche della popolazione di madri studiata non bastano per spiegare le differenze tra i Cantoni nei tassi di attività delle madri con figli. Così, per fare un solo esempio, il Ticino continua ad occupare l’ultimo posto in materia di tasso di attività delle madri anche quando venga eliminata la possibile influenza che su questa variabile possono esercitare le differenze nelle caratteristiche individuali.
Lo studio di Giudici e Schumacher è molto interessante, ma i risultati della loro analisi quantitativa, che mettono in evidenza l’importanza dei fattori istituzionali, devono essere presi con le pinze. Intanto perché, come suggeriscono gli autori stessi, vi sono altre caratteristiche individuali che possono influenzare il tasso di attività delle madri. In secondo luogo anche perché – e questa è un’osservazione nostra – l’incentivo a riprendere un’attività di lavoro per le madri può essere molto più importante in un Cantone dove l’offerta di manodopera è scarsa che in un Cantone nel quale lavorano più di 60’000 frontalieri. Per non parlare poi dell’influenza di differenze di natura culturale che sono difficili, se non addirittura impossibili, da quantificare. Così o così: in un mercato del lavoro, quello svizzero, che non è favorevole per le madri, il Ticino occupa la posizione estrema. Non è certamente un record del quale possiamo vantarci.