«Ho avuto una maestra di retorica tutt’altro che mediocre e che ha formato molti altri valenti oratori e, eccellente tra tutti i Greci, Pericle». Leggendo un dialogo quasi sconosciuto di Platone, il Menesseno, salto sulla sedia: Socrate, già per Nietzsche colpevole di asettica razionalità; Socrate, quel misogino che in punto di morte fa allontanare l’inconsolabile e fastidiosa moglie Santippe, dichiara di avere avuto una grande maestra di retorica, una donna, che insegnò la stessa arte nientemeno che a Pericle. Forse finora non abbiamo capito nulla, forse qui come nel Simposio la filosofia sembra avere avuto inizio dalle donne. Nel Simposio infatti la vera sapienza sul bello e sull’eros non viene dagli apologhi di Erissimaco o Aristofane, e nemmeno dalle poesie di Agatone. La verità sull’amore deriva dal racconto che Socrate fa delle parole di una donna, Diotima di Mantinea. Una sacerdotessa che gli aveva svelato il senso del desiderio, del cercare ciò che non si possiede, di Eros come demone nudo e privo di tutto, sempre in cerca di ciò che è bello e buono. Solo il desiderio, questo eros perennemente insoddisfatto, può agognare ai corpi belli e da lì alle anime belle, a ciò che le intelligenze sanno fare di bello, fino a giungere al Bello in sé e per sé, quel momento, «o Socrate, per cui vale la pena essere vissuti».
Tutta la maschia filosofia di Socrate e Platone e poi tutto il pensiero che nei secoli mai lasciò spazio alle femmine, tutto deriverebbe dunque dalle illuminazioni di Diotima e dagli insegnamenti di Aspasia, una sacerdotessa, l’altra prostituta, secondo quel che sappiamo, colta e intelligente compagna o seconda moglie di un grandissimo uomo di stato come Pericle, però sempre etera o tenutaria di bordelli? Sembrerebbe. Perché il condizionale? Non solo perché sappiamo poco dal punto di vista storico: in fondo anche di Fedone, Fedro, Agatone, altri protagonisti dei dialoghi platonici, sappiamo ben poco, potrebbero perfettamente essere personaggi inventati. Nemmeno perché Menesseno continua a dare del buontempone a Socrate, solo tu sai prenderti gioco dei retori, adesso per esempio citi una donna come maestra di retorica. Piuttosto perché è davvero strana questa veste intellettuale di due donne nella Grecia del quinto-quarto secolo a.C. Non che dopo diventi normale, anche la prima moglie di Albert Einstein svolgeva la parte matematica delle dimostrazioni del marito senza mettere il nome come co-autrice degli articoli, addirittura scherzando sul fatto: noi siamo Ein-Stein, una pietra sola, non importa quale nome appaia. Fino a quando il marito riparò negli Stati Uniti con una più giovane e vezzosa cugina, senza per questo sentire il bisogno di riconoscere il ruolo della prima signora nel suo lavoro. E siamo in pieno Novecento, e l’unica soddisfazione è che i denari del Nobel del 1921 dovettero essere devoluti alla moglie e a uno dei figli malato di mente, entrambi rimasti in Europa, a Zurigo. Ma torniamo ad Aspasia, ai suoi tempi. Anche se non istruite, chissà se saranno mai state capaci di pensare, queste donne greche. Il primo volume della finora unica History of Women Philosophers (a cura di Mary Ellen Waithe, Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht, 4 voll.) dice di sì, rintraccia molte donne pensatrici nel millennio che parte dal sesto secolo a.C., dall’epoca di Pitagora. Ecco, per esempio, anche di Pitagora, dell’uomo, non sappiamo quasi nulla, sommersi dalle numerose e agiografiche Vite di lui scritte nei primi secoli della nostra era. Sembra comunque che la moglie e le figlie fossero filosofe, con una preferenza per le leggi della pitagorica armonia applicate alla vita pratica. Non proprio come lucidare meglio un pavimento o far lievitare il pane, ma come guidare una famiglia e una casa, come educare i figli, come gestire l’economia domestica (che poi anche l’economia più astratta deriva da oikos e nomos, le leggi della casa, la gestione di una casa).
Oggetto di scherno, questi ultimi argomenti, da parte dei filosofi di tutte le epoche, dediti a ben altro, alla metafisica alla cosmologia all’analisi del linguaggio. Come se gestire una casa fosse molto diverso dal gestire la vita di un comune, di una città, di uno Stato. I principi dell’armonia sono sempre gli stessi. Piuttosto, sono le menti sclerotizzate a non comprendere. Non è che non siano mai esistite donne filosofe, anche se la storia ne reca pochi frammenti. Forse qualcuno non ne ha tenuto traccia, forse dopo un distratto ascolto ha detto va bene, ora lasciaci che dobbiamo parlare di cose serie, non affaticarti che perdi il tuo grazioso colorito, il bambino piange. Senza comprendere che cose serie, colorito, bambino, nessuna di queste realtà fa paura a una donna intelligente. Non un piccolo, che si sente a casa tra le nostre braccia, non il colore delle nostre guance, che gestiamo con la perfezione del piccolo chimico, in pochi secondi. E certo non le cose davvero importanti nella vita. Ma, scusate, riprenderemo l’argomento, devo correre a spegnere il forno...