Il nuovo libro sulla Casa Bianca firmato da Bob Woodward, il giornalista-del-Watergate, non è ancora uscito ma è già un successo, perché se c’è una cosa che abbiamo capito in questa stagione senza certezze è che parlare di Donald Trump fa vendere. Il resoconto pettegolo di Michael Wolff, Fuoco e furia, pubblicato all’inizio dell’anno ha venduto un milione e passa di copie ed è stato tradotto in tempo record in molti paesi (ha anche creato non pochi guai al guru trumpiano Steve Bannon); il memoir di James Comey, ex capo dell’Fbi, idolo dei trumpiani per la sua inchiesta sulle email di Hillary Clinton a pochi giorni del voto del 2016 poi passato nel recinto dei traditori quando ha deciso di rendere pubblici i suoi appunti degli incontri con il presidente Trump, ha avuto un clamore che tendenzialmente questi saggi degli ex non hanno.
Anche altri tomi sull’attuale presidenza sono andati bene, e pure i giornali registrano trend positivi: più Trump dice che un media è «fake news» o sull’orlo del fallimento, più quel media accoglie nuovi abbonati. Vale anche per i siti e i media trumpiani, che con la loro informazione sovente al limite del complotto raccolgono lettori e consenso. I saggi su fake news e post verità hanno altrettanto successo: il più bello, erudito e sofferto, è The death of truth, uscito a luglio, opera prima di Michiko Kakutani, critica letteraria del «New York Times» per trentotto anni.
Donald Trump fa vendere, suo malgrado. I giornali hanno raccontato come è nato il libro di Bob Woodward, che s’intitola Fear: Trump in the White House e sarà pubblicato l’11 settembre. A differenza del passato, il team di Trump non ha deciso a quali funzionari dare accesso a Woodward, si è creato un processo a catena basato su indiscrezioni e passaparola: se sai che il collega due stanze più in là ha parlato con il giornalista-star, ti viene voglia di dire la tua. Senza grandi consulti, senza un coordinamento, semplicemente perché nella varietà di versioni sullo stesso fatto che caratterizza la comunicazione di questa Casa Bianca, ogni dettaglio ha una storia propria.
Quando Woodward scrisse il libro sulla politica estera dell’allora presidente Obama, andò spesso alla Casa Bianca, aveva appuntamenti fissati, materiale da consultare, resoconti da verificare: come è facile immaginare, gli obamiani avevano tutto l’interesse a rappresentare il proprio lavoro e la propria presidenza nel miglior modo possibile. Con Trump non è andata così: se Michael Wolff era diventato una presenza costante alla Casa Bianca, Woodward è stato visto poco. Molti se lo ricordano all’inizio dell’avventura trumpiana alla Trump Tower, quando disse ai giornalisti che gli chiedevano che cosa ci facesse lì: il mio lavoro. Ma poi, senza un accordo sull’accesso alle fonti, Woodward si è adattato alle modalità del mondo Trump, che si nutre di indiscrezioni, conversazioni rubate, battute, tweet e un’incontenibile, personalissima improvvisazione.
L’idea del libro nasce da una frase che lo stesso Trump disse a Woodward in un’intervista del 2016, quando era ancora candidato. Woodward gli chiese se condividesse quel che aveva detto Obama sul potere: «Il vero potere è ottenere quello che vuoi senza essere costretto a usare la violenza». Trump rispose che sì, era d’accordo, il potere reale si misura in termini di rispetto, ma aggiunse una sua considerazione personale: «Il vero potere è, non vorrei nemmeno utilizzare la parola: paura». Da questa risposta, dalla paura, è nato il libro di Woodward, che ha detto di essersi sentito «rinato» in questa sua inchiesta, che si è consolidata in ore e ore di conversazioni e con i suoi leggendari blitz notturni a casa delle fonti per verificare qualche dettaglio. Woodward ha cercato di indagare soprattutto come si prendono le decisioni alla Casa Bianca, il suo editore dice che il libro racconta con esattezza la «vita straziante» dei collaboratori di Trump, oltre che il suo approccio strategico in particolare in politica estera.
Ora i consiglieri del presidente gli suggeriscono di evitare, quando sarà il momento, di fare troppi commenti sul libro di Woodward: il miglior modo per disinnescare le polemiche, di qualunque natura, è tacere. Ma il dietro le quinte di questo spettacolo americano è troppo gustoso, ogni pettegolezzo sembra reale e ogni realtà sembra pettegolezzo, ognuno vuole dare la sua versione dei fatti, mentre il mondo attorno si plasma su questa strabordante confusione. I consiglieri sanno già che il loro suggerimento non sarà ascoltato: Trump non è capace di trattenersi.